Prima i pavimenti da lavare, poi il cambio della biancheria e adesso anche i pasti da servire ai degenti. Negli ospedali siciliani ogni cosa sembra difficile. Perlomeno per quanto riguarda l’assegnazione del servizio dopo la scadenza naturale dei contratti con le imprese che in passato si sono aggiudicate le prestazioni. L’ultimo stop riguarda la gara d’appalto da quasi 157 milioni di euro che la Regione Siciliana ha indetto nel 2019 e che nei giorni scorsi è stata sepolta dall’ennesimo pronunciamento della giustizia amministrativa. Ancora una volta arriva dal Tar di Palermo un riferimento all’inadeguatezza che più di una volta ha caratterizzato la gestione delle procedure da parte della Centrale unica di committenza, ovvero l’organismo a cui è demandato il compito di acquisire le forniture e i servizi per gli enti della Regione.
A mettere la parola fine alla gara per il servizio di ristorazione nelle aziende sanitarie regionali è stata, due giorni fa, la stessa stazione appaltante. «Si avvisano gli operatori economici – si legge in una nota rivolta alle imprese che avevano preso parte alla gara – che con sentenza del Tar sono stati annullati gli atti di gara impugnati. Pertanto, su indicazione dell’Avvocatura dello Stato, questa Centrale unica di committenza, non ritiene utile proporre appello avverso la sentenza». Come dire inutile fare ricorso, si avrebbe di certo nuovamente torto.
Al centro della bocciatura da parte del Tar c’è un assunto che, già in passato, ha interessato altre procedure della Cuc: l‘impossibilità per le imprese di presentare un’offerta economica ponderata, a causa della mancanza di trasparenza nel bando di gara. In questo caso, nel mirino è finita la mancata indicazione dei prezzi che avrebbero dovuto fare da base d’asta da cui partire per proporre i ribassi per quanto concerneva la colazione, il pranzo e la cena da garantire ai pazienti. I funzionari della Regione, infatti, hanno colmato la lacuna contenuta nel bando soltanto con una nota di chiarimento pubblicata a fine luglio del 2019. «La Cuc – si legge nella sentenza – ha inserito ex post i prezzi unitari dei singoli pasti ponendoli a base d’asta, con ciò ha modificato in maniera sostanziale le regole di gara senza preventiva ripubblicazione dell’intero bando». Per i giudici, così facendo, la Regione ha «violato l’obbligo di formulare in maniera chiara, precisa e univoca le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione».
Davanti a queste osservazioni la Cuc ha tentato di difendersi, sostenendo che, trattandosi di accordi quadro, per i dettagli della gara bisognava attendere la fase esecutiva dei contratti. Una tesi che però è stata cassata dai giudici. Ma oltre agli svarioni di carattere burocratico, a emergere sembrerebbe anche la difficoltà da parte della Centrale unica di committenza di riuscire a raccogliere le informazioni da parte delle Aziende sanitarie. «Fondate sono anche le ulteriori censure – affermano i giudici amministrativi – con le quali la ricorrente lamenta l’impossibilità di formulare una seria offerta per la partecipazione alla gara in ragione delle incongruenze riscontrate in sede di sopralluogo riguardanti sia il costo del personale sia lo stato dell’arte delle cucine presenti nei luoghi oggetto della fornitura».
Ad ammettere il difetto di comunicazione è stata, peraltro, la stessa stazione appaltante, sostenendo che, in merito ai numeri rigurdanti il personale in servizio nelle singole strutture sanitarie, «la mancata pubblicazione dei documenti aggiornati è dipesa da inadempienza delle singole Asp, le quali hanno solo parzialmente fornito riscontro alle richieste della Cuc».
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