Gioacchino Ruffino fa il barbiere e vive nello storico rione cittadino. Scambiato per un antifascista, viene costretto a ingoiare un quarto di litro di olio di ricino e, quando prova a tornare a casa, si accorge che l'accesso alle strade è stato murato
San Berillo, in scena la storia della visita di Mussolini «Il muro che cela il quartiere è come i muri d’Europa»
Stasera e domani andrà di nuovo in scena a Palazzo De Gaetani lo spettacolo multimediale Il muro. Cronachetta drammatronica di una civile apartheid, scritto da Turi Zinna e diretto da Federico Magnano San Lio. Con il supporto di linguaggi audiovisivi tecnologici, lo spettacolo racconta la segregazione di San Berillo attraverso le peripezie vissute da un barbiere del quartiere durante la visita di Benito Mussolini a Catania nel 1937. Gioacchino Ruffino è un barbiere ben radicato nello storico quartiere di San Berillo e ispirato a un personaggio realmente esistito. Durante la visita di Mussolini a Catania nel 1937, l’uomo, scambiato per un militante antifascista, viene picchiato e costretto ad ingoiare un quarto di litro di olio di ricino. Cercando rifugio nella sua casa-quartiere di San Berillo, al posto di una porta trova un muro, sollevato per nasconderne il degrado e la miseria ai grandi gerarchi fascisti. Dopo lungo girovagare, è così costretto a liberare il suo intestino di fronte gli occhi disgustati dell’alta borghesia catanese riunita al caffè Lorenti. La segregazione fisica e quella sociale diventano una cosa sola.
Turi Zinna, regista e attore protagonista dello spettacolo, realizza l’incontro tra passato e presente. Infatti, l’umiliazione e lo sradicamento provati dal barbiere Gioacchino sono gli stessi che negli anni ‘50 provarono gli abitanti di San Berillo, deportati in massa nel nuovo quartiere di San Leone, nell’ambito di un’operazione di risanamento urbanistico che comportò la demolizione dei quartieri di Santa Maria della Grotta, Crocifisso della Buona Morte e San Berillo. Il regista, che aveva già dedicato al quartiere il testo teatrale La ballata per San Berillo, racconta di aver incontrato gli abitanti deportati e di averne raccolto le testimonianze, percependo tra di essi il dolore vivo di una ferita ancora aperta. «Tra questi testimoni – spiega – c’erano anche i figli del barbiere Gioacchino che provarono a opporre resistenza contro le ruspe».
L’intento, negli anni ’30 e negli anni ’50, rimaneva quello di nascondere e poi estirpare il volto di un quartiere toccato da degrado e miseria. Ma la riflessione che emerge dal dramma si estende a una contemporaneità ancora più vicina a noi, ovvero alle vicende recenti che coinvolgono l’Italia intera e la sua posizione di apertura nei confronti dei più deboli: «Il muro sociale di cui narro si può estendere a tutti i muri che stanno risorgendo in Europa, nel mondo e in Italia stesso, creando delle situazioni di vero e proprio apartheid attraverso le barriere psicologiche e materiali sollevate per evitare l’ingresso dei miserabili».
Il legame con la contemporaneità emerge anche nei linguaggi espressivi scelti. Lo spettacolo si serve sperimentalmente di una sintesi audio-visiva tra la voce dell’attore protagonista, modulata da se stesso attraverso un mixer di scena, le musiche techno di Fabio Grasso e di Giancarlo Trimarchi del gruppo Loozoo e le immagini tratte da filmati storici sullo sfondo: «Ritengo che la drammaturgia sia molto legata allo spazio e lo spazio di questo racconto affonda nel contemporaneo, in quel flusso di immagini, di suoni e di tecnologia in cui siamo immersi. Le storie, oggi, non ci arrivano più con le parole: lo scopo è quello di riportare al centro di questo flusso la parola, quasi come un canto epico», afferma Zinna.
Lo spettacolo rientra nel progetto Trame di quartiere, volto a valorizzare l’area di San Berillo. «Il quartiere è oggi più che mai un concentrato di mondo, poiché gli ultimi che continua ad accogliere coincidono adesso con le comunità multietniche. Mentre gli interventi istituzionali hanno imposto cambiamenti volti a estirpare la diversità di San Berillo, Trame di Quartiere vuole rimescolare le sue diversità, valorizzarle e offrirle allo sguardo, senza escludere nessuno. Attraverso il lavoro di Trame si può leggere l’intero paradigma della contemporaneità che stiamo vivendo».