«È finita l'epoca in cui ciascuno pensa al proprio orticello. Bisogna fare sistema». Orazio Licandro, assessore comunale alla Cultura, ha moderato uno dei seminari all'interno della fiera d'arte contemporanea Art FaCTory e il suo invito alla collaborazione non è stato l'unico. Nella gestione del patrimonio «un canale importante è la collaborazione con università, Comuni e associazioni», ha sottolineato l'archeologa della Soprintendenza Anna Maria Bombaci. Ma sempre tenendo d'occhio la validità degli interventi
Salvare e valorizzare i beni archeologici? «Sinergia, comunità d’intenti e sincerità»
«Un tema gigantesco e di grande attualità». Così Orazio Licandro, assessore comunale alla Cultura, definisce la valorizzazione dei beni culturali e archeologici intervenendo a una tavola rotonda organizzata nell’ambito della fiera darte contemporanea Art FaCTory. E quello catanese è un patrimonio inestimabile, eppure tanto nutrito quanto poco valorizzato, come ha mostrato CTzen nel corso delle sue inchieste sull’argomento. «La crisi economica pone la necessità di riflettere su modelli diversi – riconosce Licandro – Una cosa è certa: attraverso politiche serie è possibile avviare un processo di rinascita».
Ma di soluzioni all’orizzonte se ne scorgono poche. «Noi possiamo intervenire sui beni comunali», precisa con un sorriso. Nei dieci mesi di amministrazione un risultato importante è però stato ottenuto: «Per la prima volta dal dopoguerra, Catania ha i musei aperti dalle 9 alle 19. Sembrava una cosa impossibile, invece era semplicissimo». Ma, assieme alla fruizione e alla valorizzazione siti, «occorre che dalle istituzioni venga ciò che si predica: investire in cultura, non significa tagliare». E, prosegue Orazio Licandro, «quello che stiamo facendo è far capire agli altri che è finita l’epoca in cui ciascuno pensa al proprio orticello. Bisogna fare sistema».
Un pensiero condiviso da Anna Maria Bombaci, archeologa, dirigente dell’unità operativa Beni archeologici della Soprintendenza etnea. Secondo cui serve innanzitutto «applicare le leggi». E, successivamente, «avviare delle attività congiunte con gli altri enti e i privati», anche per attingere ai fondi europei in materia. «Un canale importante è la collaborazione con università, Comuni e associazioni», afferma facendo riferimento ai casi fortunati del sito archeologico di Palikè, a Mineo, e Santa Venera al Pozzo. «Sinergia, comunità d’intenti e sincerità», sono le tre parole-guida dell’archeologa. Che non sembra scoraggiarsi davanti a un patrimonio bistrattato. «Ci sono uomini e donne di buona volontà», spiega Bombaci. Ed elenca i numeri: la sola Soprintendenza catanese ha 14.802 beni catalogati e oltre 18mila beni librari.
Piccoli manufatti, bibbie rarissime, anfiteatri a rischio collasso. Tanti gli ambiti in cui intervenire. E anche quando si cerca di porre rimedio alle problematiche, si rischia di aggravarle. «Una cattiva conservazione può dare danni più gravi di una non conservazione», afferma Enrico Ciliberto, docente di Chimica generale all’Università di Catania. «La chimica – prosegue – può affrontare il bene da due punti i vista: archeometrico (con quali materiali e tecnologie è stato costruito, ndr) e conservativo». Si degrada? Perché? Si può intervenire? Queste le domande da porsi costantemente. «Troppe volte assistiamo a interventi senza effettuare una precisa diagnostica». Come è accaduto a Nicosia, con delle iniezioni in cemento che hanno compromesso la struttura della torre campanaria. Errori irreparabili che però, avvisa il professore, accadono anche più spesso di quanto non si pensi.
[Foto di Iorga Prato]