Rocco Chinnici e il mistero del processo ‘aggiustato’

OGGI RICORRE L’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE IN CUI MORI’ IL PADRE DEL POOL ANTIMAFIA. UN LIBRO A LUI DEDICATO DISEGNA I CONTORNI DI UN GIALLI MAI RISOLTO

Sono passati  3i anni dalla strage in cui morì Rocco Chinnici, il giudice istruttore di Palermo, padre del pool antimafia. Una Fiat 126 imbottita di esplosivo davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo provocò la strage in quel 29 Luglio del 1983. Oltre al giudice, morirono anche il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi.

Uno dei tanti gialli che ancora tingono il ricordo di quell’attentato viene fuori dal libro scritto a quattro mani dai giornalisti Fabio De Pasquale e Eleonora Iannelli per la casa editrice Castelvecchi. Si intitola “Così non si può vivere. Rocco Chinnici: la storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili” e ha la prefazione di Pietro Grasso, ex capo della Procura di Palermo e della Direzione nazionale antimafia e, ora, presidente rocco chinnicidel Senato.

Testimonianze, nuovi documenti e risvolti inediti di quella che è definita “una strage annunciata”. Sono gli stessi figli, Caterina, Elvira e Giovanni Chinnici, dopo trent’anni, che ne rivelano i retroscena: “Papà fu lasciato solo, offerto ai suoi carnefici”. Nel libro c’è anche il diario del giudice, pubblicato per la prima volta in versione autografa.

Il giallo che emerge dal libro è legato alla scomparsa e alla riapparizione, dopo 15 anni, del fascicolo sull’inchiesta a carico del presidente della Corte d’Assise d’Appello di Messina, Giuseppe Recupero, che aveva emesso, nel 1988, la sentenza del terzo processo d’Appello agli autori della strage. Alcuni pentiti hanno raccontato, a suo tempo, che l’esito del processo, celebrato a Messina nel 1988, dopo due annullamenti della Cassazione, sarebbe stato “aggiustato” da Cosa nostra con il pagamento di 200 milioni di lire. Per arrivare all’assoluzione per insufficienza di prove di Michele e Salvatore Greco, indicati come i mandanti dell’attentato, la mafia avrebbe corrotto il magistrato.

La magistratura di Reggio Calabria, dove l’inchiesta era stata trasferita, si era dichiarata incompetente. Il fascicolo era quindi tornato a Palermo, ma se ne era persa ogni traccia. Ora è improvvisamente ricomparso a Palermo. Sembra che, nel trasferimento dal capoluogo calabrese a quello siciliano, il passaggio non era stato annotato nei registri del Palazzo di Giustizia di Palermo e il caso era stato quindi “dimenticato”, come un qualsiasi procedimento da giustizia civile.

Piccolo, ma non insignificante particolare, che certo non contribuirà a ristabilire la verità di quanto accadde: il giudice Recupero è morto ormai da cinque anni.

Dietro l’autobomba che aprì la stagione delle stragi mafiose al tritolo, creando la duratura immagine di Palermo come Beirut, c’erano, come scrivono gli autori del libro, un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico, ma anche una giustizia “sonnolenta”.

Il lavoro di Chinnici portò alla nascita di un pool che indagava ad ampio respiro sulla mafia e del quale facevano parte, tra gli altri, anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un gruppo di magistrati che doveva fare i conti con le ostilità di un ambiente saturo di veleni. Chinnici aveva rivoluzionato il metodo investigativo, scardinato le casseforti delle banche, per mettere il naso sui patrimoni sospetti. Stava per chiudere il cerchio attorno ai mandanti e agli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse un’unica regia. La storia gli darà ragione. Il suo lavoro istruttorio confluirà infatti nel primo maxi processo alla mafia, iniziato dopo la sua morte e concluso nel 1987.


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