Rivalità e affari, il mercato della droga ad Adrano Il re dello spaccio come Riina: «Lo Stato sono io»

«Io sto diventando il king… il king della marijuana». Ad autoproclamarsi re, mentre le microspie della polizia registrano ogni respiro, è Sebastiano Di Stefano. L’uomo che ha dato lo spunto agli investigatori per dare il nome all’inchiesta che ha decapitato una piazza di spaccio di Adrano che sarebbe stata gestita all’ombra del clan mafioso degli Scalisi. Insieme a Di Stefano, l’altro nome di punta dell’indagine è quello di Salvatore Giarrizzo. Quest’ultimo nelle carte dell’inchiesta, che conta 23 indagati, viene indicato dagli inquirenti come «il fornitore abituale del gruppo». Titolare dei contatti con Antonio Graziano Pirrello, personaggio di base a Catania e che secondo gli investigatori ruoterebbe nell’orbita della cosca Cappello-Bonaccorsi attiva nel quartiere San Berillo. Ma secondo i collaboratori di giustizia, Giarrizzo avrebbe avuto sponde anche in Calabria: «Aveva molte conoscenze – racconta ai magistrati il pentito Vincenzo Pellegriti – sicuramente perché cuginastro del boss Scarvaglieri».

Per gli inquirenti, però, Giarrizzo  avrebbe assunto un ruolo di rilievo nel panorama criminale di Adrano non tanto per le competenze acquisite sul campo ma per una sorta di vuoto di potere che si sarebbe creato. «Credo sia stato fortunato – continua Pellegriti – era un soldato come me, ma è riuscito a crescere grazie all’assenza di soggetti di spessore liberi e alle sue disponibilità economiche». Tra gli aneddoti legati all’inchiesta c’è quello della manovalanza che lavorava in strada come pusher. Giovanissimi, alcuni dei quali minorenni, che sarebbero stati il segno distintivo del gruppo criminale. A ricordarlo ai magistrati è, ancora una volta, il collaboratore Pellegriti. 

A contendersi con Giarrizzo la gestione del narcotraffico su Adrano sarebbe stato un gruppo riconducibile ai Lo Cicero, inseriti all’interno della cosca dei Santangelo, quest’ultimi vicini alla famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. «Tra i fatti di cronaca – si legge nell’ordinanza – risulta un conflitto a fuoco ad agosto 2019. Fatto per il quale, a evidenziare la matrice mafiosa dell’evento, non è stata fatta alcuna denuncia». Sul punto, a svelare qualche dettaglio è di nuovo Pellegriti. In un verbale finito agli atti dice: «La sparatoria avvenuta con i Lo Cicero – racconta qualche mese dopo l’accaduto – è collegata alla rivalità per la conquista del territorio di Adrano».

In via Plutarco, nei pressi dell’abitazione di Di Stefano – l’altro elemento di vertice del gruppo – gli inquirenti registrano incontri, scambi di denaro e anche il trasporto di una pistola conservata in un sacchetto. Tra i dialoghi che vengono annotati ancora una volta a emergere sono le smanie di grandezza dell’indagato autoproclamatosi «king». Il riferimento, in questo caso, è al film il Capo dei capi sulla vita del padrino di Cosa nostra Totò Riina. «Te lo sei visto i Corleonesi? – dice mentre mostra una piantina di marijuana – Quella parola quando gli dice “dovete trattare con me e lo Stato sono io“. Te lo ricordi? Lo Stato sono io, dovete trattare con me, con me dovete trattare». Parole in libertà ispirate a una storia vera. 


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