Riforma Province, l’ipotesi con 4 consorzi Uno studio disegna i possibili cambiamenti

La riforma delle province approvata dall’Assemblea regionale siciliana ha ottenuto il via libera anche dal commissario dello Stato, Carmelo Aronica. Adesso è quindi legge a tutti gli effetti, ma la gara tra i campanili è già lanciata. La divisione territoriale venuta fuori dal disegno di legge proposto dal governo Crocetta, infatti, non piace a molti Comuni, preoccupati di perdere identità e importanza. Nel Catanese è scoppiata la rivolta soprattutto delle Aci, con il sindaco di Acireale Nino Garozzo in prima fila nel proporre che la sua città esca dall’area metropolitana di Catania. Una nuova ipotesi di spartizione viene dallo studio condotto negli ultimi mesi dall’associazione giarrese Città viva, in collaborazione con numerosi sindaci dell’area ionica. Un lavoro che tiene conto dei paletti fissati dalla legge, che impone due criteri: quello della continuità territoriale e il numero minimo di abitanti. E della volontà poltica dei Comuni espressa negli ultimi mesi. Ne viene fuori una divisione in cinque parti della vecchia provincia, con la città metropolitana di Catania notevolmente ridotta rispetto al disegno originario, e quattro consorzi di liberi comuni: quello delle Aci; del Calatino con Caltagirone capofila e l’annessione di alcuni centri del Siracusano; l’area ionico-etnea con la convivenza di Giarre e Taormina; e quello denominato Terra dei Normanni con Paternò capofila, ma subordinato alla partecipazione di Bronte.

«È un’ipotesi figlia di molto lavoro, abbiamo iniziato a studiare una possibile composizione già nel marzo scorso, prendendo in esame la prima bozza di legge proposta dall’assessore Patrizia Valenti», spiega Salvo Liotta, ingegnere e segretario organizzativo di Città viva. Il movimento civico ha portato avanti la proposta in accordo con i sindaci Vincenzo Caragliano di Riposto, Eligio Giardina di Taormina, Ignazio Puglisi di Piedimonte e Marco Alosi di Fiumefreddo. A cui se ne sono aggiunti molti altri strada facendo. In 46 si sono incontrati a dicembre a Taormina per discuterne. L’attenzione si è dapprima concentrata sull’area ionica, per poi estendersi al resto della provincia, fino ad arrivare ad incastrare i vari pezzi del contorto puzzle. «Ma rimangono molti nodi, alcuni derivanti dalle difficoltà che la legge pone, come il passaggio delle decisioni in consiglio comunale a maggioranza qualificata e il successivo referendum, altri vincolati dalla volontà politica di determinati sindaci e territori».

Nella suddivisione ipotizzata la città metropolitana di Catania passerebbe da 27 a nove Comuni (Catania, Gravina, Misterbianco, San Giovanni La Punta, San Gregorio, San Pietro Clarenza, Sant’Agata Li Battiati, Tremestieri Etneo e Santa Maria di Licodia), potendo comunque contare su 450mila abitanti.

Acireale uscirebbe da quest’area, come auspicato dal sindaco, diventando Comune capofila del nuovo consorzio delle Aci, che includerebbe Acicatena, Mascalucia, Aci Castello, Aci Sant’Antonio, Valverde, Pedara, Trecastagni, Viagrande, Nicolosi e Aci Bonaccorsi, per un totale di 193mila residenti.

Dentro il consorzio Jonia-Taormina-Etna confluirebbero ben 44 Comuni, di cui Giarre sarebbe capofila, seguendo il criterio del Comune con più abitanti stabilito dalla legge e risolvendo così l’iniziale conflitto con Taormina. Dentro questo grande consorzio rientrerebbero molti centri provenienti dalla provincia di Messina (come Giardini Naxos, Santa Teresa Riva, Roccalumera), e anche in questo caso si raggiungerebbero nel complesso 193mila residenti.

Il consorzio del Calatino, con capofila Caltagirone e una popolazione di 159mila unità, sarebbe il residuale dell’attuale unico consorzio della provincia di Catania disegnato dalla riforma.

Infine nascerebbe il consorzio Terra dei Normanni, guidato da Paternò, insieme ad Adrano, Belpasso, Biancavilla, Motta Sant’Anastasia, Catenanuova, Camporotondo, Maletto, Maniace e Bronte.

Quest’ultimo paese rappresenta probabilmente il nodo più difficile per far sì che tutti i pezzi si incastrino. «C’è un problema politico – spiega Liotta – perché Bronte è orientato verso il consorzio ionico. Al momento fa parte del collegio elettorale di Giarre, ma dal punto di vista infrastrutturale è collegato meglio verso sud, all’asse Adrano-Catania». Senza considerare lo stesso colore politico che lega i sindaci di Bronte, Giarre e Riposto, tutti espressione del centrodestra. In ogni caso, è difficile che senza il centro del senatore Pino Firrarello, il consorzio Terra dei Normanni possa raggiungere il numero minimo di abitanti e vedere quindi la luce.

«Il consorzio ionico sarebbe certamente tra i più belli, funzionali e attrattivi, ma bisognerà vedere cosa decideranno di fare le Aci», precisa il sindaco di Fiumefreddo Marco Alosi. Una cosa sembra certa. «Mai con Catania», ha più volte ribadito il sindaco di Acireale Garozzo, seguito da Ascenzio Maesano, primo cittadino di Acicatena. E si ipotizza anche l’annessione di Gela a uno dei consorzi di Catania, che per continuità territoriale potrebbe essere quello del Calatino. La proposta è arrivata ieri dal Comitato per lo sviluppo dell’area gelese. La cittadina da sola infatti non riuscirebbe a staccarsi da Caltanissetta per formare un proprio consorzio.

Ma, al di là dei campanilismi e delle dinamiche politiche, la moltiplicazione dei consorzi sarà funzionale dal punto di vista amministrativo ed economico? Secondo Liotta è positivo ai fini di un migliore sviluppo «rendere più omogenee le aree e avere una maggiore conoscenza delle problematiche territoriali». Ma questo dipenderà molto dalle competenze e dalle funzioni pubbliche che verranno assegnate ai consorzi dalla prossima legge prevista in autunno. «L’intenzione – conclude il segretario di Città viva – dovrebbe essere quella di fare un riordino generale e non sovrapporre le competenze tra Comuni, Consorzi e Regione. Se fatto bene, questo porterà a uno snellimento delle procedure burocratiche».


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