Intervista al dirigente del Trauma center di Villa Sofia Cervello di Palermo, Antonio Iacono. «Prima di importare modelli, bisogna formare le persone. Ma chi ne è capace non è preso in considerazione perché non fa parte delle parrocchie politiche»
Riforma del 118: ambulanze, elisoccorso e personale «Stiamo copiando il modello americano e sbagliamo»
Il tempo. Per un medico che si occupa di emergenza e urgenza, il tempo è un indicatore fondamentale. Spesso indispensabile. Lo sottolineano in molti, tra i sindacalisti che esprimono le loro preoccupazioni sulle nomine dei manager della sanità, ratificate dalla giunta ieri sera. «Un medico che ha il turno di reperibilità – ha ammesso Antonio Palermo, Anaao – ha venti minuti per presentarsi in ospedale, da quando è stato chiamato. Se siamo di fronte a un infarto, abbiamo 180 minuti per salvare una vita. I tempi della medicina sono lontani dai tempi biblici della politica».
È proprio a partire da questi due mondi, medicina e politica che troppo spesso non riescono a comunicare tra loro, che un altro medico e sindacalista Cimo, il dirigente del Trauma center di Villa Sofia a Palermo, Antonio Iacono, esprime le sue preoccupazioni sul percorso che porterà alla nascita dell’Areus, l’agenzia unica per l’emergenza urgenza in Sicilia. Perché secondo Iacono, che ha alle spalle un’esperienza trentennale nel settore dell’emergenza, «arrivare sulla scena dell’incidente, se non c’è un medico che abbia competenza nelle stabilizzazioni urgenti, rischia di diventare un dramma».
L’obiettivo del governo, però, è quello di accorciare i tempi, slegando il medico dal percorso dell’ambulanza e incrementando il trasporto in elisoccorso.
«Purtroppo non sempre accorciando i tempi, io allungo la vita. Anzi, potrei rischiare di accorciare anche quella, perché non potendo prestare subito soccorso a chi è in condizioni critiche vitali, pur accorciando i tempi di percorrenza, se non intervengo immediatamente rischio un disastro».
In Lombardia questo modello funziona.
«A parte che la situazione orografica della Sicilia è sicuramente diversa da quella della Lombardia. E non basta che lì ci siano i laghi, non si può comunque paragonare la Lombardia a un’isola in mezzo al Mediterraneo, cosa che invece è stata affermata in un congresso sul 118, tempo fa. Sinceramente mi piacerebbe conoscere l’indice di mortalità in Lombardia, dove hanno adottato un sistema simile e si assiste a delle polemiche molto dolenti».
In Sicilia un modello eccellente c’è, è quello di Messina.
«È un modello valido nella misura in cui c’è sistema di rete medicalizzata. Oggi si cerca invece di ricalcare il modello americano, con parasanitari preparati per lo scoop and run, letteralmente stabilizza e porta via. Ma in quel caso parliamo di persone che hanno una esperienza e una preparazione paragonabile a quella di un medico di emergenza. Qui non c’è questa cultura, non siamo ancora in queste condizioni. Allora prima di importare modelli, bisogna formare le persone. Qui in Sicilia non mancano le competenze di chi sa cos’è l’urgenza, l’emergenza e l’organizzazione sanitaria. Ma non facendo parte delle parrocchie politiche, ovviamente non è preso in considerazione».
In questo momento i medici a bordo delle ambulanze non sono dipendenti del 118, ma operatori del servizio sanitario. Assumere medici che si occupino solo dell’emergenza potrebbe essere una soluzione?
«È una voce che gira quella dell’assunzione di personale dedicato, ma io sono convinto che sia un errore. Perché i tempi di aggiornamento e di addestramento sono cristallizzati e fossilizzati. Cioè, una persona che fa emergenza e che agisce quando c’è l’emergenza e poi non fa nient’altro, rischia di perdere la manualità e l’esperienza dell’addestramento continuo. E non è un’accusa nei confronti dei colleghi, attenzione, ma io credo che l’attività del 118 dovrebbe essere istituzionalizzata, com’è a Bologna, dove i turni in ambulanza da parte dei medici di tutte le strutture ospedaliere, vengono calendarizzati. Questo sarebbe un sistema in grado di dare una formazione continua agli operatori, inseriti però in un sistema di turnazioni complessive».
Considera funzionale, invece, l’idea di creare una centrale operativa unica?
«Quattro forse sono pletoriche, una è assolutamente insufficiente. Io dividerei il lavoro tra Sicilia orientale e occidentale, forse sarebbe la scelta più corretta».
Però se si sente esigenza di un’agenzia unica, evidentemente il sistema che ha coordinato l’urgenza in questi anni ha mostrato qualche difetto.
«Il servizio 6 in dipartimento funziona parzialmente, forse perché non ha le professionalità di cui dovrebbe invece avvalersi».
E le centrali operative?
«Quelle fanno un lavoro molto professionale. Il dispatch, cioè il momento in cui l’operatore raccoglie la telefonata al 118 e decide come intervenire, è importantissimo. E su questo le centrali operative funzionano, con personale di grande esperienza. Hanno una professionalità notevole, il problema è la capacità di coordinamento di tutte queste fasi del processo, che è necessario fare».
Compreso il coordinamento con la banca del sangue.
«Sì, perché lì non si parla soltanto di una perdita di tempo, ma anche di uno spreco di risorse. Una sacca di sangue mal utilizzata è un delitto, perché per creare quella sacca di sangue c’è un impegno, dal volontario fino a chi poi la lavora. In Sicilia quello della carenza di sangue è un tema assolutamente grave».
Si dovrebbero sensibilizzare di più i cittadini?
«Sì. L’impegno, però, per una volta è al contrario: dovrebbe partire dalla base e arrivare ai vertici. Dovremmo sensibilizzare di più in ospedale, le risorse le abbiamo. I direttori generali hanno degli obiettivi, loro dovrebbero sensibilizzare i centri trasfusionali a implementare e aumentare, anche attraverso convegni e informazione al cittadino. Mentre l’assessore dovrebbe coordinare tutto ciò. Ma l’impegno deve partire dalle aziende e dai manager. Finora, anche su questo fronte, probabilmente non si è fatto abbastanza».