Rifiuti, la crisi del compostaggio dopo la chiusura di Raco «Troppe persone usano i sacchetti di plastica per l’umido»

Ancora 17 giorni, bene che vada. È la misura della neanche troppo piccola nuova emergenza rifiuti in Sicilia. Sono circa 150 i Comuni che dall’inizio del nuovo anno fanno i conti con la chiusura dell’impianto di compostaggio gestito dalla Raco a Belpasso. La decisione era stata annunciata dalla società alle amministrazioni locali prima di Natale, specificando che per motivi tecnici e organizzativi il sito di contrada Gesuiti, nell’estrema periferia del paese e non distante da Sigonella, sarebbe rimasto chiuso fino al 10 gennaio. Alla vigilia della riapertura, altre due comunicazioni hanno informato del prolungamento dello stop prima fino al 13 gennaio e poi fino al 31. A meno di ulteriori novità, quindi, l’impianto dovrebbe tornare a ricevere rifiuti a partire dall’1 febbraio

«Lo speriamo, visto che per noi stare chiusi significa una perdita economica, ma non possiamo assicurarlo al cento per cento», dichiara a MeridioNews l’amministratore di Raco Davide Zannini. All’origine dei problemi registrati nell’impianto ci sarebbe la qualità del rifiuto che viene conferito. «Da anni facciamo i conti con questa situazione, oltre il 30 per cento di ciò che entra nell’impianto non dovrebbe esserci, non è umido e quindi risulta uno scarto. A partire dai sacchetti di plastica che i cittadini continuano a usare al posto di quelli biodegradabili», spiega Zannini. Lo scarto prodotto dall’impianto di compostaggio è identificato con il codice 191212 e la sua destinazione finale è lo smaltimento. Che in Sicilia al momento significa discariche. «Sono costi che per legge ci sobbarchiamo noi, in quanto diventiamo proprietari del rifiuto – prosegue l’amministratore – La norma prevede che il 191212 sia nell’orbita del cinque per cento ma, da sempre, noi viaggiamo su percentuali decisamente superiori: il 2020 lo abbiamo chiuso al 31 per cento di impurità».

Al di là dei costi, i privati, che in Sicilia gestiscono oltre il 40 per cento degli impianti di compostaggio, hanno il problema anche di trovare dove portare gli scarti. «Le discariche, alle prese con il rischio esaurimento, non sono propense ad accogliere i nostri rifiuti e l’alternativa, al momento, è quella di portarli fuori dall’isola ma con costi troppo alti», va avanti Zannini. La società ieri ha incontrato i vertici del dipartimento regionale Rifiuti, anche se l’attuale normativa prevede che le ditte chiudano i contratti direttamente con i singoli Comuni. Un fatto a cui l’assessorato vorrebbe porre rimedio ma che, a oggi, non ha registrato particolari novità. «Siamo i primi a voler riaprire, ma servono le condizioni adeguate per operare. Con il Covid – rivela – il grado di impurità era aumentato, passando dal 28 al 31 per cento. Siamo ai livelli che avevamo quando abbiamo iniziato a operare e la raccolta differenziata, in molti centri, stava ancora compiendo i primi passi».

In questi mesi sui tavoli della Regione c’è un progetto di ammodernamento dell’impianto di Raco. Prevede di implementare la tecnologia di digestione anaerobica, con l’obiettivo di aggiungere alla produzione di compost anche quella di biometano. Stando alle previsioni, consentirebbe di rimodulare la capacità dell’impianto portandola da 150mila a 177mila tonnellate annue. Quello della potenzialità degli impianti di compostaggio è uno dei punti deboli del sistema su cui poggia la differenziata in Sicilia: il governo Musumeci ha calcolato che le attuali 302mila tonnellate annue riescono a coprire soltanto il 40 per cento rispetto al fabbisogno dell’isola. Una carenza che, sempre nel Catanese, ha portato la Rem – riconducibile agli imprenditori Daniela Pisasale ed Emanuele Caruso, coinvolti in estate negli arresti a Bellolampo – a puntare e ottenere le autorizzazioni per un mega-impianto nella piana di Catania

Nel caso di Raco, invece, il progetto è ancora al vaglio della commissione deputata a valutare l’impatto ambientale. Stando a quanto appreso da MeridioNews, tra le osservazioni rivolte alla società c’è quella riguardante la necessità di documentare la titolarità dei rifiuti di cui l’impresa è affidataria e, al contempo, di stipulare accordi che assicurino l’utilizzo in agricoltura del compost prodotto dall’impianto. In modo da evitare che lo stesso si riveli, a sua volta, un rifiuto. «Il nostro auspicio – commenta Zannini – è che chi è chiamato ad amministrare, a tutti i livelli, prenda seriamente in considerazione il tema degli scarti e attui politiche che ci consentano di lavorare nel rispetto delle previsioni». Nell’attesa, Raco ha deciso di sfruttare questi giorni di chiusura per fare manutenzione: «Stiamo rifacendo i pavimenti e le canalette per il percolato. Con la speranza – conclude – di poter riprendere da febbraio».


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