Il documento mette sotto la lente d'ingrandimento i primi sei mesi del 2016. Un periodo contrassegnato per le inchieste Vicerè e Kronos, con centinaia di arresti tra i Laudani e i Santapaola. Le cosche continuano ad utilizzare estorsioni e usura ma cercano con forza «d'infiltrarsi nei settori legali dell'economia». Guarda la mappa
Relazione Dia, inalterati schieramenti dei clan «Donne autorevoli a gestire gli affari dei boss»
I boss di Cosa nostra per gestire i loro affari si affidano «a figure femminili di provata autorevolezza», che operano in uno scacchiere pressoché inalterato. Al centro dell’architettura mafiosa di Catania c’è sempre la famiglia Santapaola-Ercolano, il clan Mazzei e quello dei Cappello-Bonaccorsi. In provincia invece sono attive la famiglia La Rocca di Caltagirone e la cosca dei Laudani. È questa la fotografia scattata dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia per l’inizio del 2016. Nel documento vengono illustrate le operazioni antimafia portate a termine lo scorso anno, tra le quali spicca «l’inchiesta Vicerè di febbraio che ha colpito i vertici e attualizzato l’organigramma dei Laudani». In manette finirono 109 persone ma a organizzare le attività sarebbero state tre donne: Concetta Scalisi, Maria Scuderi e Paola Torrisi.
Nell’elenco c’è anche l’operazione Kronos, del 20 aprile 2016. «Nel corso delle indagini sono stati documentati numerosi incontri tra i rappresentanti di gruppi mafiosi catanesi e siracusani, finalizzati alla progettazione di attività criminali e ad assegnare cariche e compiti». Un quadro complesso in cui però la mafia etnea fa sempre meno ricorso ad azioni violente. La più grave è la morte del pregiudicato Leonardo Previti, ucciso con alcuni colpi di pistola a Fiumefreddo di Sicilia a febbraio 2016. La strategia mafiosa dei clan, emersa nelle pagine della relazione, è infiltrare «i settori dell’economia legale con la partecipazione più o meno spontanea di soggetti del mondo imprenditoriale e condizionare l’azione della pubblica amministrazione». I riferimenti sono al blitz Brotherhood e alla scoperta di «legami tra Cosa nostra ed esponenti deviati delle logge massoniche».
Tra i metodi per fare affari resistono quelli vecchi, come le estorsioni, l’usura e il recupero crediti. «I metodi di esazione non rimangono limitati alla richiesta di denaro, ma si realizzano anche attraverso la forzata assunzione di manodopera individuata dai clan, con l’imposizione di forniture e servizi mediante l’affidamento di sub appalti ad imprese imposte dalla consorteria». Gli investigatori dividono il capoluogo etneo in base alle zone di maggiore influenza dei clan. Dalla mappa emerge come le roccaforti della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola restino ancora il quartiere di Picanello e quelli di Librino, Zia Lisa, Civita, San Giovanni Galermo e Nesima. I Cappello, negli ultimi anni in forte ascesa, si confermano a Cibali, Monte Po, San Berillo e San Cristoforo. Spazio anche ai Mazzei, che operano a nella zona del centro storico, e ai Laudani che fanno affari a Canalicchio.
In provincia la famiglia mafiosa di Ciccio La Rocca continua a regnare nell’area del calatino. I paesi sono quelli di Caltagirone, San Michele di Ganzaria, Palagonia, Ramacca, San Cono, Grammichele, Licodia Eubea e Mineo. I Santapaola restano egemoni nella fascia ionica e nella zona pedemontana dell’Etna, quest’ultima viene spartita con i Laudani. Presenti anche i clan più piccoli: i Toscano- Mazzaglia a Biancavilla, Adrano e Paternò, gli Sciuto-Tigna a Vizzini e i Cappello a Catenanuova, in provincia di Enna, ai confini con quella etnea.