Regione, le difficoltà a fare i conti alle partecipate Esperto: «Impossibile entro marzo, rischio impasse»

Un’operazione verità. Così l’hanno definita il presidente della Regione Nello Musumeci e il suo vice, con delega al Bilancio, Gaetano Armao quella sui conti pubblici. Un monitoraggio che ha portato a rivelare un buco nelle casse siciliane di quasi sei miliardi, quasi tutti derivanti da crediti inesigibili, con un indebitamento complessivo che supera gli otto miliardi. Una ricognizione del debito lasciato dalla precedente amministrazione, ma non fatta per caso. L’operazione, infatti, prescinde dalla volontà dell’amministrazione, in quanto è richiesta invece dal decreto legislativo 118 del 2011 che ha interamente riformato le regole della contabilità, sconvolgendo la gestione dei bilanci degli enti locali e impone che la Regione, come le altre italiane, sia concepita come una holding. Alla base di questa concezione che pone la gestione delle casse pubbliche sul piano privatistico, c’è l’idea che il presidente della Regione stia a capo di questo sistema che interessa anche Ars, le aziende partecipate e gli altri enti. Musumeci in sostanza sta all’amministratore unico di una società come la giunta sta al consiglio di amministrazione e l’Ars all’assemblea dei soci. A questi organi è imposta per legge la cosiddetta ricognizione del debito, un’indagine vera e propria sulla situazione finanziaria, che scoperchia il vaso di Pandora dei bilanci di tutte le partecipate regionali, una trentina, tra le quali anche quelle che hanno dichiarato fallimento. Lo stesso vale per gli altri enti strumentali sovvenzionati dall’ente madre. 

Anche l’Assemblea regionale siciliana non può sottrarsi a questa operazione sulla veridicità dei conti. La legge 174 del 2012 prevede infatti che i consigli regionali siano assimilabili alle partecipate. La verità dei conti pubblici va però in contrasto con i tempi entro cui gli uffici regionali dovranno affrontare le prime scadenze: il 31 marzo scadranno l’esercizio provvisorio e insieme anche la deroga, concessa con un emendamento alla finanziaria nazionale, della presentazione del bilancio consolidato, cosa che doveva avvenire entro settembre 2017. Armao e Musumeci si troveranno costretti a far venire alla luce i bilanci oscuri di un cinquantina di enti. Senza questo passaggio non si potrà procedere né al documento di economia e finanza regionale (Defr) né alla legge di stabilità. Allora ecco che verificare nell’insieme la spesa pubblica, con le scadenze della legge di stabilità da approvare entro aprile, potrebbe causare un serio impasse per la Regione.

Una corsa contro il tempo che si rivela impossibile per il professor Riccardo Compagnino, tra i saggi scelti da Armao per avviare la ricognizione ed esperto di contabilità pubblica. «Al bilancio consolidato – spiega Compagnino a Meridionews – si arriva attraverso la ricognizione del debito imposta da un decreto legislativo del 2016. Senza questo non si potrà mettere mano al bilancio del 2017 e nemmeno pensare a quello del 2018-2020. Non sarà facile riuscire a farlo entro il 31 marzo». Incaricati di questa difficile missione sono gli uffici della Regione, ma da quanto si apprende le difficoltà a mettere mano ai conti delle partecipate sono state finora insormontabili, al punto da non permettere al governo Crocetta di portare il bilancio consolidato in esame all’Ars entro la fine del mandato. «La mia preoccupazione – afferma Compagnino – è che la politica in Sicilia continui a pensare secondo il verbo passato. Vige una grande inadeguatezza dei saperi. Il mondo contabile è cambiato e se i nostri rappresentanti all’Ars non riescono a comprenderlo, immagino a breve una forte reazione dalla Corte dei Conti».

«Tutto questo – prosegue Compagnino – va però inquadrato in una duplice visione: da una parte bisogna riflettere su come faremo ad arrivare al 30 aprile e dall’altra bisogna pensare a cosa avverrà dopo. Sarebbe stato meglio se la data di scadenza del consolidato non fosse concisa con quella della scadenza dell’esercizio provvisorio. Non possiamo più assecondare le richieste del passato – aggiunge Compagnino – la classe politica deve comprenderlo». La soluzione a tutto questo c’è? «Una ci sarebbe – afferma lo studioso -. Come proposto dall’assessore Armao, si potrebbe riconsiderare gli accordi di natura fiscale con lo Stato, per rimodulare dal 2018 i flussi finanziari. Lo Stato ha sottratto dal 2003 al 2014 alla Sicilia oltre 30 miliardi di Irpef, allora – sottolinea l’esperto – occorre ricostruire gli esatti flussi finanziari, così intanto ci potremmo risollevare. Ma la trattativa deve partire subito». Compagnino ricorda poi come «la Sicilia ottiene solo 3,64 decimi di rimborso Iva, mentre il Friuli Venezia Giulia ne ottiene 5,91», ribadendo che «occorre riconsiderare prima possibile gli accordi siglati da Crocetta con lo Stato del giugno 2014 e del giugno 2016, ritenuti già nulli dalla Corte Costituzionale». 

Un’altra soluzione per lo studioso sarebbe la modifica dei termini per la scadenza dell’esercizio provvisorio, facendo slittare di almeno quattro mesi tutte le scadenze finanziarie della Regione. Una soluzione inedita che porterebbe a trascinare l’esercizio ordinario oltre la scadenza dell’anno finanziario, abolendo in sostanza quello provvisorio in dodicesimi. «Per fare questo occorre una verifica su base politica e si dovrebbe agire sulla legislazione nazionale, ma farlo costituirebbe in questo momento una grande opportunità», conclude Compagnino.


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