Rapporti coi Santapaola, in aula parla Pippo Nicotra «I fatti dimostrano che non ho assecondato La Causa»

«Oggi un giovane può accettare di non sottomettersi. Ma negli anni Settanta e fino a inizio anni Novanta, quando in Sicilia non si parlava di lotta alla mafia, non si poteva fare altrimenti. Se volevi lavorare dovevi cercarti l’amico. Presidente, era bere o affogare». È questo uno dei passaggi più accalorati delle dichiarazioni fatte da Pippo Nicotra in aula. L’ex deputato regionale ed ex sindaco di Aci Catena ha chiesto di parlare ieri poco prima di lasciare la parola ai propri legali, nel corso di una delle ultime udienze del processo di secondo grado Aquilia. Nicotra deve rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa, per avere contribuito al rafforzamento del clan Santapaola, e di una tentata estorsione nei confronti di un socio della ditta edile della moglie. 

«Quando il 10 ottobre del 2018, a 62 anni e mezzo, alle 3 di notte vengono i carabinieri a casa mia, pensavo di stare sognando», ha esordito Nicotra, rivolgendosi alla corte presieduta dal giudice Riccardo Pivetti. L’udienza – iniziata in ritardo per la difficoltà di trovare un legale che sostituisse il difensore del collaboratore di giustizia Mario Vinciguerra, il principale accusatore di Nicotra – è andata avanti dal pomeriggio fino a serata inoltrata. L’ex deputato ha voluto ribadire, una volta di più, la tesi che in primo grado non è stata accolta – portando a una condanna a sette anni e quattro mesi – dal gup: il proprio rapporto con Cosa nostra è da inquadrare soltanto come quello di una vittima del racket. Nessun sostegno, nessun vantaggio ottenuto, impossibile parlare di concorso esterno. «Sono figlio di commercianti. A 18 anni e mezzo, dopo avere messo da parte l’idea di fare il medico, decido con mio padre di aprire questa nuova attività. Erano gli albori della grande distribuzione», ha raccontato Nicotra che, oltre ad avere fatto politica per oltre due decenni, ha costruito un piccolo impero di supermercati. L’incipit è servito per spiegare che, da subito, per i Nicotra sarebbero iniziati i problemi con la criminalità organizzata. «Un mese esatto dopo l’apertura, spararono alle vetrate e da lì è cominciò l’odissea. Le telefonate a casa e i biglietti sotto la saracinesca. Noi abbiamo denunciato ai carabinieri, ma al tempo non c’era modo di sfuggire a questo cancro delle estorsioni».

Agganciato dai Santapaola, Nicotra sarebbe stato costretto a pagare costantemente. «Si diceva che dovevano spararmi in testa, mio padre non mi faceva uscire da solo di casa. Dovevano venire i miei amici a prendermi», ha proseguito l’ex deputato. Nicotra ha poi passato in rassegna anche le accuse di rapporti diretti con la cosca. «Quando nel 2001, dopo le Regionali e non prima, Vinciguerra si presenta da me come il capo dei Santapaola ad Aci Catena, è vero che non ha bisogno di intimidazioni, ma è anche vero che si sapeva chi era questo signore», ha detto Nicotra, per sottolineare di non aver mai avuto favori in chiave elettorale e al contempo di essere stato sempre sotto scacco come imprenditore. L’ex deputato contesta anche la versione dell’episodio che lo avrebbe visto protagonista di una denuncia di estorsione, in qualche modo smussata per volere degli stessi esponenti del clan. «Diamo più fiducia a un delinquente, oggi chiamato pentito, che alla ricostruzione del maresciallo dei carabinieri», ha attaccato Nicotra.

Successivamente, l’ex primo cittadino ha prima fatto presente alla corte che ogni rapporto con l’esponente del clan Alfio Brancato sarebbe da ricondurre a una parentela acquisita – «quando ancora era un ragazzino» – per poi soffermarsi su uno dei passaggi più eclatanti emersi dall’inchiesta: l’incontro con l’ex capo provinciale di Cosa nostra, killer e oggi collaboratore di giustizia Santo La Causa. «Mi portarono nel mio ufficio questa persona vestita da benzinaio – ha ricostruito Nicotra – Si presentò come il capo di Cosa nostra, io non lo conoscevo. Mi fece la richiesta estorsiva per i capannoni che avevamo costruito nella zona industriale e poi mi chiese di rendere edificabili alcuni terreni ad Aci Catena, sfruttando il mio ruolo da sindaco. Ma io ho mai dato una concessione? Non ho mai messo nessuna firma. Ed è per questo che mi fa impazzire vedere il Comune che si costituisce parte civile. Io sono colui che ha bloccato tremila vani sulla collina di Vampolieri». In conclusione, Nicotra ha ribadito di non avere mai fatto un favore da politico alla mafia e di avere condotto «una vita specchiata».

La parola è poi passata ai difensori, l’avvocato Orazio Consolo e il professore Giovanni Grasso. Le arringhe dei due legali si sono protratte per quasi tre ore e sono servite a ripercorrere la vita pubblica – «una posizione complessa, con la veste di imprenditore e politico» – del proprio assistito. Per la difesa è imprescindibile partire da un dato: tra anni Novanta e anni Duemila, Nicotra è stato per quattro volte scagionato dall’accusa di essere contiguo con la criminalità: nel ’93 quando, in seguito ai fatti che portarono allo scioglimento del Comune, fu destinatario di una misura di prevenzione; nel ’97, quando un’indagine per concorso esterno si concluse con la richiesta di archiviazione; e poi negli anni Duemila un procedimento per voto di scambio politico-mafioso e un altro per favoreggiamento della mafia (per la contestata denuncia dell’estorsione) che non hanno portato a condanne. «Il processo penale dovrebbe essere la sede dove alberga il dubbio – ha detto l’avvocato Consolo – In questo caso, ciò non è avvenuto. Nella sentenza di primo grado si premettono alcune cose ma si omette di ricordare tutti gli elementi favorevoli alla posizione di Nicotra. Quattro pronunciamenti che hanno escluso collegamenti con Cosa nostra».

Per i legali, non reggerebbe la tesi che vedrebbe partire dal 2001 il concorso esterno del politico e imprenditore, in quanto il profilo di Nicotra sarebbe rimasto immutato, ovvero quello di un uomo vittima del pizzo. A non reggere sarebbe anche l’accusa di avere dato un contribuito ai Santapaola tramite le assunzioni nei supermercati di proprietà. «Siamo certi che siano aiuti alla mafia? – ha detto Consolo – Chi è parente di un mafioso non può lavorare da nessuna parte? Sono valutazioni pericolose, che rischiano di scontrarsi contro i principi della Costituzione». Il professore Grasso, dal canto suo, ha ribadito come sia contraddittorio parlare di concorso esterno e al contempo non riuscire a dimostrare che Nicotra, da politico, «abbia fatto anche solo un piccolo favore all’associazione mafiosa». Il legale ha poi contestato l’eccessivo credito dato alle parole di Vinciguerra che sarebbero generiche e che, quando descrivono fatti specifici, sarebbero smentite dai fatti. «A volte ai miei collaboratori dico che, secondo la procura, le dichiarazioni dei collaboranti sono come le calze autoreggenti, si sostengono da sole».

La difesa ha chiesto per Nicotra l’assoluzione o, in alternativa, la rideterminazione dell’arco temporale in cui sarebbe stato commesso il reato, riportandolo a prima del 2008. In tal caso, la pena sarebbe meno pesante, in virtù della normativa vigente all’epoca dei fatti. Per la tentata estorsione, invece, se non dovesse essere accolta la richiesta di assoluzione – a sostegno della quale ieri sono stati portati ulteriori documenti che dimostrerebbero l’inattendibilità della presunta vittima – i legali hanno chiesto di derubricare il reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Un reato perseguibile solo su querela di parte che, in questo caso non essendoci stata, di fatto sarebbe estinto.


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