Racket, i numeri dello Sportello della Solidarietà  La storia di Ninni Gullo: «Denunciare è normale»

Si schernisce, Ninni Gullo, mentre racconta la sua storia. Non guarda fisso il cronista ma gira la testa da destra a sinistra e sorride timidamente. Parla a bassa voce, come se descrivesse la cena di ieri sera. Del resto «ho compiuto un gesto normale, così com’è normale la vita che conduco. Dobbiamo abbandonare l’idea che denunciare i mafiosi sia un fatto eclatante, straordinario. Loro stessi ormai lo mettono in conto».

Ninni, ingegnere e imprenditore edile, assiste rilassato, insieme al padre Toti, ex sindaco di Monreale, alla conferenza stampa in Prefettura sui risultati ottenuti nei suoi primi tre anni di vita dallo Sportello della Soliderietà messo in piedi da Addiopizzo, l’Ufficio nazionale Antiracket guidato dal commissario Santi Giuffrè e la Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane presieduta da Tano Grasso. Ci sono la prefetta Antonella De Miro, il procuratore aggiunto di Palermo Bernardo Petralia, i rappresentanti di Addiopizzo e i responsabili della struttura che dal 2013 fornisce il proprio gratuito supporto sotto il profilo giuridico, economico e psicologico alle vittime del racket e dell’usura.

Ma soprattutto ci sono loro, gli imprenditori che hanno denunciato i mafiosi e che hanno chiesto aiuto non solo alle forze dell’ordine ma anche a comitati, associazioni ed enti statali. Persone realmente disperate quanto cocciute, non come «quegli imprenditori – denuncia Tano Grasso – che sono contigui agli ambienti mafiosi ma cercano di accreditarsi come simboli della lotta al racket, sperando di acquisire il marchio dell’impresa antimafia per ottenere benefici e una sorta di immunità dalle indagini giudiziarie». Per il presidente onorario della Fai «soltanto un rapporto vivace e rigoroso con le forze dell’ordine può scongiurare il rischio infiltrazioni nelle associazioni antiracket».

Gli esempi di commercianti che, presto o tardi, hanno fatto il loro dovere non mancano. Ci sono i titolari di una pizzeria a San Lorenzo che, con l’aiuto di alcuni clienti, hanno inseguito e bloccato l’auto dei loro estorsori fino all’arrivo della polizia. E c’è l’imprenditore che, invece, ha taciuto per vent’anni e ha perso la sua attività: «Mi appello ai miei colleghi siciliani. Io ho denunciato tutto dopo vent’anni, spero che gli altri non facciano la mia stessa fine. Paura? Non ne ho, vengano pure a farmi quello che vogliono. I miei figli per fortuna vivono all’estero».

E poi c’è lui, Ninni Gullo, «un alieno a Monreale», come si definisce. Nel 2012 la sua impresa sta costruendo un edificio quando si vede recapitare la solita richiesta di mettersi a posto. Che i mafiosi stranamente non rivolgono a lui ma a suo padre: «Non conosciamo suo figlio e non sappiamo come la prenderebbe, così gli hanno detto – spiega -. Per loro era strano che non mi fossi rivolto alla mafia. Dovevo rientrare nelle regole». Per farlo, ecco la richiesta del pizzo con lo sconto: «Dato che di quell’edificio stavo realizzando solo una parte, mi hanno chiesto ottomila euro, circa mille euro ad appartamento».

Gullo, però, fin dall’inizio della sua attività si è iscritto ad Addiopizzo e non ci pensa due volte a rivolgersi ai magistrati: «Mio padre era spaventato ma io non ho avuto la minima titubanza, il minimo dubbio. Ho denunciato 48 ore dopo la richiesta di pagamento. A Monreale in quel momento ero praticamente l’unico ma sentivo che il diverso non ero io, il diverso era il mafioso. Mi sentivo come un alieno». Dalle sue denunce e da quelle di altri imprenditori sono scaturite le indagini che hanno portato all’operazione ‘Nuovo mandamento’, che ha ricostruito le attività di diverse famiglie mafiose di Monreale, Partinico, San Giuseppe Jato, Camporeale, Altofonte, Borgetto e Giardinello. Nel dicembre 2014 il gup Giacchino Scaduto ha condannato 32 persone con il rito abbreviato a oltre 250 anni di carcere.

La coda della vicenda, però, ha un sapore dolceamaro: «Dopo la mia denuncia il mio cliente si è tirato indietro perché ‘non voleva problemi’ e ho perso una commessa di 130mila euro. Per fortuna però mi sono rifatto con altri cantieri a Palermo». L’auto del padre Toti Gullo, inoltre, è stata bruciata dai soliti ignoti. «Il sostegno dello Sportello della Solidarietà – racconta il giovane ingegnere – è stato fondamentale. Mi hanno seguito durante tutto l’iter giudiziario. I momenti di sconforto non sono mancati, soprattutto nel periodo tra la denuncia e gli arresti, che è stato abbastanza duro. Ma adesso sto benissimo. Quando racconto quello che mi è successo alle scolaresche scelgo solo gli episodi divertenti. La nostra generazione è chiamata ad un atteggiamento di normalità dinanzi a questi fatti». 

Dal 2013 ad oggi lo ‘Sportello della Solidarietà’ ha ottenuto 5,44 milioni di euro di elargizioni dal Fondo di Solidarietà per le Vittime del racket e dell’usura, 127 utenti registrati e 317 contatti, 882 incontri, 41 provvedimenti di sospensione dei termini di pagamento di tasse e mutui bancari in favore delle vittime ed oltre 1.300 atti di assistenza tecnico-amministrativa.


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