Racconto di un Erasmus in cerca di avventure: Passi da gigante

Mi pare che stiamo visibilmente facendo progressi. Passi da gigante: la mia coinquilina cinese ha infornato una pizza. Una cosa alquanto banale ma che in circostanze simili, dove io mi sono sentita un essere bionico o geneticamente modificato vergognandomi dei miei tre caffè al giorno, nessuno si sarebbe mai aspettato.

 Mi piacerebbe tornare a guardare tutto con la prospettiva che avevo quando sono arrivata. Mi piacerebbe ascoltare la gente che parla e pensare tutta esaltata che si sta parlando in tedesco. Non riesco più ad esaltarmi. Non riesco più a sentirmi mancare il fiato se sento squillare il telefono e non so cosa devo rispondere e come farlo. Tutto sta diventando assolutamente normale, tutto sta smettendo all’improvviso di essere una novità, un punto interrogativo. Anche io forse sto iniziando a diventare assolutamente normale.

Forse io e la Germania stiamo raggiungendo un punto di incontro che si trova esattamente a metà strada tra me e lei.

Io non sono ancora del tutto dentro, ma nemmeno lei e ancora del tutto dentro di me. Ma il passo è breve.

 

Mi pare che non voglia più smettere di nevicare. Le strade sono ricoperte da un tappeto di neve spesso e morbido, ma lo spettacolo non dispiace. Bayreuth e bella e con la neve persino gli squallidi casermoni dell ex Berlino est hanno assunto una nuova connotazione.

Non  mi stupisco nemmeno più quando alla fermata dell’autobus qualcuno che non conosco mi saluta e mi augura una buona giornata: Baviera significa anche questo e Bayreuth nella sua piccola Gemütlichkeit non è da meno. Tutto è a portata di mano e tutto non smette un secondo di funzionare anche se le strade sono bianchissime e il termometro segna -14 gradi.

 

Oggi al supermercato alla cassa dietro di me c’era un italiana. Una donna sulla quarantina, con la figlia accanto. O meglio, più che “dietro di me” dovrei dire davanti a tutti: stavamo tutti lì a fare la fila e quando è stata aperta la cassa accanto lei si è messa a correre come una maratoneta scalzando il vecchietto che doveva in realtà essere per primo.

 

Certe volte cerco di guardare la Germania con gli occhi di un’italiana, però non ci riesco. Non so più cosa sono, se mi devo sentire un ospite o se invece ho tutte le carte in regola per dire che anche io vivo qui. In fondo la residenza a Bayreuth ce l’ho formalmente anche io.

 

Mi ricordo che i primi tempi nelle situazioni quotidiane facevo di tutto pur di rendere palese che non ero tedesca e che quindi, qualsiasi cosa la gente mi avesse detto, anche solo “ciao” o “posso sedermi accanto a te?”, non l’avrei afferrato come si sarebbero invece aspettati. Forse era un modo per mettere le mani avanti e preparare una difesa contro un attacco che in realtà non e mai arrivato a destinazione.

Al contempo c’era la frustrazione del volere parlare bene. Ricordo che i primi tempi parlavo meccanicamente con una velocità innaturale. Forse volevo dimostrare la scioltezza che non possedevo. Però avevo una paura accecante che il mio telefono potesse squillare, cogliendomi così, impreparata, senza sapere che dire, facendomi cadere nel panico.

 

L’altra volta al telefono ci sono stata trentasei minuti e inizialmente non me ne sono neanche accorta. Forse e proprio vero che stiamo tutti facendo passi da gigante.

 


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