Quel che resta del Pd siciliano

Il documento politico con cui ieri la direzione regionale di Italia dei Valori ha concluso i propri lavori sancisce il definitivo distacco da ogni ipotesi di alleanze con il Pd alle prossime elezioni in Sicilia. Si compie così definitivamente una progressiva lacerazione che si trascina ormai da anni con un atteggiamento, da parte del partito di Di Pietro che, forse eccessivamente, ha messo a disposizione del Partito democratico molteplici occasioni per rivedere una condotta politica che lo ha portato alla dissoluzione.

Già i risultati alle recenti amministrative di Palermo hanno confermato ciò che chi scrive va affermando da tempo anche sulle pagine di LinkSicilia: il Pd ha perso ogni residua leadership politica del centro-sinistra che non rappresenta più né numericamente, né culturalmente.

Resistono solo quelle sacche di consenso costruite attraverso le stabilizzazioni intorno a Cracolici e a Lumia, sempre più lontani dalle proprie origini e sempre più simili ai tardi epigoni dell’ultima Democrazia ristiana, pur non possedendone l’intelligenza politica.

Una segreteria regionale sempre di più lontana dalla realtà, rinchiusa in un apparato obosoleto, in un bunker da cui è impossibile tracciare ogni prospettiva politica; una classe dirigente logorata dall’ambiguità incapace di immaginare un futuro per la Sicilia che lentamente affonda tra debiti, scandali, disoccupazione, emigrazione dei cervelli e delle braccia.

Lo storico che ogni tanto si agita in me non può trascurare di pensare cosa sarebbe accaduto in altre epoche davanti a tale arroganza ed incapacità. Quali ritorsioni popolari si sarebbero abbattute verso chi si è reso responsabile del dissesto di una terra già da decenni sempre in bilico sul baratro? Quali tremende conseguenze dell’appoggio al peggior Governo che la Sicilia abbia mai avuto nella propria storia si sarebbero fatte scontare ai responsabili?

Se sino a ieri ogni nequizia era prontamente dimenticata grazie all’intervento dei Governi nazionali (amici o meno), oggi tale impossibilità rivela la nudità politica del Pd siciliano, abbandonato a se stesso dai vertici nazionali, per i quali rappresenta, e sarebbe anche ora, una pagina di cui vergognarsi (dopo averne tratto inconfessabili benefici).

Resta una base avvilita, umiliata, offesa, depauperata di ogni riferimento ideale ed istituzionale, incline verso l’astensione e l’attesa che qualcosa di nuovo si generi in quello che, decenni or sono, doveva rappresentare la grande prospettiva dell’unione di tutti i riformisti in una casa comune e vocazione maggioritaria. Quel Partito democratico in nome del quale la Rete di Leoluca Orlando decise di sciogliersi, l’Ulivo del primo Governo Prodi sarebbe stato il banco di prova, i cattolici democratici rinunciarono definitivamente al refrain dell’unità politica, già preannunciato profeticamente dopo il Concilio Vaticano II.

Non appaia pertanto materia per un futuro lontano la domanda: chi guiderà i riformisti siciliani, chi prenderà il posto del soggetto politico su cui si erano appuntate le speranze del cambiamento?

Il risultato delle amministrative di Palermo, per quanto fortemente influenzato dalla candidatura di Leoluca Orlando a Sindaco, ha espresso una nuova generazione di amministratori locali, molti dei quali assolutamente alla prima esperienza e privi di vincoli con il passato.

Motivato e rafforzato da tale risultato, il partito di Pietro sta rappresentando l’unica alternativa per il popolo di sinistra – e non solo – alla ricerca di rappresentati dalle mani libere e… pulite. Ciò ne sta rafforzando la leadership politica, il radicamento territoriale, il senso di preoccupazione da parte di che vede sottrarsi il controllo del territorio che già si è espresso con i primi tentativi di intimidirne l’azione nelle periferie, come avvenuto nei giorni scorsi alla sede del partito nella borgata di Tommaso Natale.

La fermezza esercitata a livello nazionale nel contrastare le politiche di impoverimento del Paese poste in atto dal Governo Monti che si appresta a compiere il primo anno di attività, sta pagando, poiché in essa non vi è opposizione pregiudiziale, come potrebbe in qualche modo configurarsi nella Lega di Bossi e di Maroni, ma lucida analisi di un scenario preoccupante nel quale si continuano a tutelare corporazioni e interessi particolari e si riversa invece l’intero costo del cd risanamento sul futuro di giovani, di pensionati, di enti locali.

Infine, ma non ultimo, il fermo atteggiamento nei confronti della trattativa Stato-mafia e di quanti, in modi diversi, si stanno adoperando perché tale tema sbiadisca davanti alla quotidiana evocazione del dio spread, ha trovato in Italia dei Valori quell’intransigenza che non guarda in faccia ad alcuno e che fu, venti anni fa, la cifra di chi ne sarebbe poi diventato il fondatore.

Italia dei Valori intercetta una volontà di giustizia sociale, un desiderio forte di ripulire le istituzioni, tutte le istituzioni, da quel tragico trasformismo che dal secondo dopoguerra è stato ed è la vera, grande tara della politica italiana e che ha visto avvicendarsi nei luoghi chiave del potere ex fascisti, ex monarchici, ex democristiani, ex comunisti, sempre gli stessi o, al più, riprodotti in cloni plastificati, incapaci di innovazione e di originalità.

Lontano nel linguaggio e nella prassi politica dagli incomprensibili funambolismi verbali dei più grandi democristiani, dalle contorsioni sado-maso degli ex comunisti, dalla confusione mentale degli ultimi colonnelli di Alleanza Nazionale, il partito di Di Pietro si candida, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, ad interpretare un nuovo modo non solo di far politica, ma a anche di governare un Paese profondamente ridimensionato nelle proprie aspirazioni ma, non per questo, privato nel diritto di credere che un futuro sia ancora possibile.

Mentre dai partiti tradizionali i giovani si tengono lontani – e molti anche a motivo dell’inaffidabilità di soggetti fino qualche mese fa non privi del fascino del leader, come Sel – i medesimi guardano con interesse ad Italia dei Valori, ai suoi percorsi di formazione per giovani quadri, militanti e rappresentanti che già dal 2011 connotano la vita interna di un partito sempre più autonomo dalla figura del fondatore e in grado di camminare con le proprie gambe, pur nel disagio di parlar chiaro dove regna l’ambiguità, pur nel coraggio di schierarsi senza riserve dove impera la politica dei due forni, pur nel rischio, talvolta, di vedersi addebitata l’accusa di giustizialismo dove per anni hanno imperato l’oblio e l’insabbiamento.

In un Paese che rischia ogni giorni di imboccare la strada della rivolta sociale, un partito della chiarezza in nome di valori non negoziabili rappresenta non solo una risorsa per le nuove possibilità contenute nell’idea stessa di governo, ma anche e soprattutto una diga forte nei confronti di quel sentimento di antipolitica che, nella consueta, italica assenza di memoria storica ha sempre rappresentato l’anticamera di ogni involuzione politica ed istituzionale. Quell’anticamera nella quale Silvio Berlusconi, che ben conosce gli italiani e la storia delle loro ataviche paure, già si prepara con rinnovata protervia a presentarsi come quell’ “uomo della provvidenza” che in più occasioni ha stupito anche i più acuti osservatori della politica italiana che, come nel 1994, scommettevano sull’indubbio successo della “gioiosa macchina da guerra”.

La poca rilevanza data dai media a questo rinnovato pericolo per la democrazia deve far riflettere su quanto poco abbiamo imparato dalla storia di questo Paese e dalla sua perenne ricerca di sicurezza cui, in più occasioni, si è trovato a barattare pagando il prezzo altissimo della libertà… (a destra, foto di Antonio Di Pietro tratta da it.electionsmeter.com)

Quando intorno a Berlusconi dovessero nuovamente ricompattarsi, come accadde nel 1994, tutti gli interessi minacciati da ogni vero rinnovamento e che nell’emergenza supereranno gli attuali “distinguo” legati ai ras locali, non sarà possibile contrapporvi altro se non quei soggetti politici che in questi anni hanno quotidianamente lottato contro veri nemici e falsi amici, restando fedeli sempre e solo a se stessi e agli interessi di chi, in nome della legge dell’appartenenza, è stato umiliato e offeso nei mille modi in cui la politica, quando è potere e non servizio, conosce ed attua con consumato cinismo

Vogliamo auguraci che nel frattempo, ciò che resta del Pd, soprattutto in Sicilia, abbia presto la capacità di comprende e l’umiltà di accettare tutto ciò, prendendo definitivamente atto di aver mancato al compito che la storia gli aveva assegnato e di cui non ha saputo essere all’altezza.

In prima pagina e sopra foto di Cracolici e Lombardo tratta da thelorereport.blogdo.net 


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