In questo articolo, numeri alla mano, dimostriamo che i tedeschi, nell'unione europea, si fanno i cavoli propri. Le prescrizioni che gli altri paesi debbono rispettare, loro non le rispettano
Quando la Germania in Europa predica bene ma razzola assai male
IN QUESTO ARTICOLO, NUMERI ALLA MANO, DIMOSTRIAMO CHE I TEDESCHI, NELL’UNIONE EUROPEA, SI FANNO I CAVOLI PROPRI. LE PRESCRIZIONI CHE GLI ALTRI PAESI DEBBONO RISPETTARE, LORO NON LE RISPETTANO
I Paesi Piigs + cioè i Paesi del versante mediterraneo Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, con l’aggiunta dell’Irlanda – in Europa sono costretti a fare continuamente gli esami di ammissione ai parametri economici fissati dai trattati dell’Unione. Presiede la commissione esaminatrice, la Germania.
Sostiene Francesco Amodeo nel suo blog che la Germania giocasse sporco lo si era capito quando l’ex ministro greco delle Finanze, Nicos Christodoulakis, denunciò che il governo tedesco non aveva incluso gli ospedali nel settore pubblico, falsando i conti di entrata nell’euro. Ed ha continuato a falsare i conti anche successivamente.
Il rigore tedesco nei riguardi dei Paesi dell‘Eurozona si concentra sull’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea che stabilisce: Sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
Ma non tiene in alcun conto le deroghe previste dal comma 3 dello stessa articolo 107, laddove stabilisce che quando occorre favorire lo sviluppo di alcuni territori nei quali il tenore di vita è eccessivamente basso, oppure si abbia una grave forma di disoccupazione. In questi casi è consentito l’aiuto di Stato anche in deficit.
In Italia queste circostanze ricorrono entrambe: il tasso di disoccupazione è del 13 per cento e quella giovanile supera il 42 per cento e tali indici nelle, regioni meridionali, sono ancora più pesanti. Tuttavia, i governi non si avvalgono in sede comunitaria delle deroghe previste nei trattati, affaccendati come sono a regalare soldi alle banche.
Epperò è il caso di porsi una domanda: in Europa tutti osservano le regole di Maastricht? In Germania, tra il 2000 e il 2003, si è avuta crescita zero del Pil e disoccupazione in aumento; tra il 1999 e il 2008 il debito pubblico è passato dal 61 al 67 per cento, mentre nei Paesi del Piigs scendeva (in Italia scendeva dal 113 al 106 per cento); la spesa pubblica è aumentata di 120 miliardi di euro, quando ancora la crisi finanziaria internazionale non era intervenuta; di questi, ben 90 miliardi sono andati in sussidi alle imprese. In pratica per quattro anni la Germania ha sistematicamente sforato il tetto del 3 per cento, violando il Trattato di Maastricht, utilizzando le riforme di Hartz, senza consultare nessuno dei partner europei, come prevede l’articolo 119 del Trattato di Funzionamento della U.E.
La riforma del wellfare tedesco è intervenuta in quattro fasi: la prima è entrata in vigore il primo gennaio del 2003, la seconda nell’aprile dello stesso anno, la terza il primo gennaio 2004 e la quarta il primo gennaio 2005.
La riforma prende il nome del suo ideatore, Peter Hartz, membro del consiglio di amministrazione della Volkswagen e della commissione Servizi moderni per il mercato del lavoro. Essa consiste nell’erogazione di sussidi a chi cerca attivamente lavoro. Ai sussidiati vengono offerte opportunità di lavoro. Se queste vengono rifiutate il sussidio si riduce del 10, 20, 30,e 60 per cento, in misura crescente fino ad arrivare alla sospensione per tre mesi nei casi di sistematico rifiuto. A marzo 2012 ben 6,2 milioni di persone avevano beneficiato di questi aiuti.
Dal punto di vista della finanza pubblica questo sussidio, unitamente al sistema di precarietà introdotto sempre dalle riforme Hartz, rappresentano un reale abbattimento del costo del lavoro mediante mini-job e precarietà diffusa, determinando un vero e proprio dumping sociale e conseguendo un effettiva svalutazione del sei per cento dei costi di produzione, finanziati con sussidi diretti.
Vi sono, poi, gli interventi della Kreditanstalt fuer Wiederanfban (KfW) – Istituto per il,credito alla ricostruzione – la banca pubblica tedesca di proprietà per l’80 per cento della Repubblica federale e per il 20 per cento dei Lander. Creata per gestire i fondi del Piano Marshall, è oggi una tra le maggiori banche del mondo e strumento di politica industriale in Germania. I suoi interventi sono finalizzati a sostenere le imprese e a creare sviluppo economico, nonché a salvare imprese in difficoltà come la banca Lkb,collassata a causa dei mutui subprime.
I suoi interventi non compaiono quali spese a debito del bilancio pubblico perché i finanziamenti della banca, benché totalmente a capitale pubblico, non compaiono nel bilancio federale. Ecco: è proprio il caso di richiamare l’articolo 107 del Trattato di Funzionamento ricordato all’inizio, laddove testualmente recita: Sono incompatibili… gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi forma…a talune imprese …perché falsano la concorrenza.
A differenza dell’Italia, che è governata da furbi, la Germania la sua brava banca pubblica se l’è tenuta, mentre noi la nostra finanziaria Iri l’abbiamo privatizzata e da quel momento la crisi industriale è cresciuta enormemente perché non vi è più stata innovazione, né produzione industriale competitiva. Né i privati che hanno acquistato le aziende pubbliche dismesse vi hanno apportato modernizzazione e sviluppo dei processi produttivi. Ilva docet.
In conclusione non è azzardato dire che la Germania in Europa predica bene ma razzola assai male.
Sui nostri governanti che le vanno dietro consenzienti sull’invalicabilità dell’ anacronistico (così lo definisce Matteo Renzi) 3 per cento è meglio stendere un velo pietoso.