Laddove la Regione è rimasta immobile, il Tar annulla i risultati della gara truccata e finita nell’inchiesta Sorella sanità. La decisione del tribunale amministrativo riguarda la procedura da 227 milioni per la pulizia degli ospedali siciliani. Uno degli appalti più importanti che sarebbero stati pilotati dall’allora presidente della Centrale unica di committenza Fabio Damiani, con la complicità di faccendiere e nell’interesse dei principali imprenditori del settore. I giudici si sono espressi sul ricorso presentato da alcune imprese, intervenendo nello stallo che si è protratto nell’ultimo anno. Una situazione che di fatto ha avuto come conseguenza il rinnovo in proroga dei contratti alle società che attualmente svolgono il servizio, anche quando si è trattato di ditte rimaste invischiate nell’indagine della guardia di finanza.
«Il presidente della commissione ha confessato il reato di corruzione – scrivono i giudici nella sentenza che accoglie il ricorso – al fine di avvantaggiare nella gara le tre odierne controinteressate e così anche ha fatto l’amministratore e legale rappresentante che ha confessato di aver promesso denaro al fine di ottenere la collocazione al primo posto della graduatoria di gara della stessa». Ad arrivare prima in tutti e dieci lotti – per poi aggiudicarsi i quattro migliori, così come previsto dal bando – era stata la Pfe di Salvatore Navarra. Finora la Centrale unica di committenza si era limitata a sospendere i verdetti in attesa di nuovi sviluppi giudiziari di un processo che al momento si trova nella fase dell’udienza preliminare. La decisione è stata presa dopo avere chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato, da cui era arrivato il suggerimento, per il momento, di non annullare la procedura.
Di avviso diverso è stato il Tar, secondo cui esistono motivi sufficienti per procedere diversamente, estromettendo le imprese coinvolte nell’inchiesta per la violazione del patto d’integrità. Quest’ultime si sono opposte sostenendo che l’unico soggetto deputato a prendere queste decisione sarebbe la stazione appaltante. I giudici però hanno sottolineato la «vaghezza dei propositi espressi della Cuc», oltre che il fatto che sia «trascorso un congruo periodo di tempo tale da fare presumere l’assenza di volontà della stazione appaltante di definire le vicende in maniera difforme da quanto già fatto, e cioè con le aggiudicazioni qui impugnate». A incidere per il Tar è poi il fatto che «essendo provata la corruzione o comunque la collusione» l’esclusione diventa automatica «non essendo necessaria alcuna valutazione discrezionale in capo alla stazione appaltante». La partita, tuttavia, non potrebbe essere chiusa. Alcune delle imprese estromesse hanno già annunciato il ricorso al Consiglio di giustizia amministrativa.
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