Processo Open Arms, Salvini evita la stampa e ogni possibile domanda sul video della giudice

Lo aspettavano tutti per trattare un solo argomento: la questione del video, risalente al 2018 ma postato su Facebook ieri, in cui si vede la giudice Iolanda Apostolico durante una manifestazione antirazzista al porto di Catania. Matteo Salvini a Palermo però ha evitato ogni contatto con i giornalisti, dribblando telecamere e microfoni. Il palcoscenico doveva essere il processo Open Arms, dove il leader del Carroccio è imputato per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio. Oggi era prevista anche la presenza di Richard Gere. Chiamato a testimoniare dalle parti civili, l’attore già nei giorni scorsi aveva annunciato la sua assenza per esigenze di set, essendo impegnato nelle riprese di un film.

Dopo la pubblicazione del video da parte di Salvini, il vortice delle polemiche si è mosso verso varie direzioni. Quasi scontate quelle nei confronti delle giudice, ormai da giorni nel mirino del governo e dei quotidiani di destra per avere bocciato il decreto Cutro annullando il trattenimento di tre migranti nel Cpr di Pozzallo. C’è poi chi chiede lumi sulla provenienza del video. Da più fronti è emerso il dubbio che il filmato possa essere stato girato dalle forze dell’ordine. Sia per la posizione privilegiata di chi riprendeva – dietro ai poliziotti – che per la tecnica utilizzata. La questura di Catania ha detto in una nota di non avere il filmato nei propri atti ufficiali, mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rimandato ai mittenti l’ipotesi di dossieraggio nei confronti della giudice, rimarcando la presenza della magistrata a un evento pubblico.

Dal punto di vista del processo, invece, è stato il giorno di Mauro Palma, presidente del garante nazionale per i diritti delle persone private di libertà. Organo di monitoraggio che ha il compito, tra le altre cose, di vigilare sui rimpatri forzati, come richiesto dall’Unione europea. Palma si presenta nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone a Palermo con tutta la documentazione relativa agli sbarchi di quel periodo e analizza con lucidità quanto accaduto in quell’agosto del 2019, quando la nave della ong Open Arms con a bordo 147 migranti è stata bloccata per diversi giorni senza che nessuno potesse sbarcare. «Il compito del garante nazionale non è soltanto quello di tutelare le persone, ma anche le istituzioni – dice Palma – Avendo ricevuto l’8 agosto una lettera da Open Arms, in cui si diceva che la nave aveva tratto in salvo e aveva un certo numero di persone a bordo, tra cui bambini e persone che avevano subito precedente violenza, ho scritto all’ammiraglio Pettorino, comandante generale della guardia costiera e ho fatto presente due questioni: anzitutto che a bordo c’erano donne e bambini in condizioni tali da dovere scendere e poi ho citato un precedente in cui la Grande camera ha stabilito, condannando già in precedenza l’Italia, che in condizioni di bisogno, durante un respingimento, lo Stato è obbligato a occuparsi dei diritti delle persone respinte».

Quasi una prassi per Palma, che si è comportato nello stesso modo anche in occasione di diversi altri casi affini, ma non per la Sea Watch, altro fermo istituzionale che ha dato vita a un processo per Salvini, ma di questo, il presidente del Garante dice di rammaricarsi. Palma racconta di non essersi limitato a interagire con la guardia costiera: «Nei giorni successivi, la nave è entrata in acque internazionali e ho fatto presente al presidente del Consiglio e ai ministri coinvolti (Interni, Trasporti, Giustizia, ndr) che l’Italia rischiava delle sanzioni. Ho ricevuto allora una telefonata dal presidente del Consiglio (che al tempo dei fatti era Giuseppe Conte, ndr) in cui mi si chiedeva quali erano gli elementi di rischio in base alle censure internazionali. In breve, ho redatto la lista insieme agli uffici e dalla presidenza del Consiglio è arrivata una risposta, nessuna notizia invece da parte dei ministeri».

I rischi di censura a cui fa riferimento Palma si riferiscono alle condizioni «inumane e degradanti» che si vivevano sulla Open Arms in quei giorni, in aperto contrasto con quanto stabilito dalle carte fondamentali dell’Unione europea. Palma in quei giorni è stato anche attaccato dal Viminale, anche se non dichiaratamente dalla persona di Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno. Tra le colonne di un articolo del Secolo d’Italia, infatti, si accusava il presidente del Garante di essere attaccato al suo stipendio e di agire di conseguenza.

Finito l’esame del presidente del Garante dei detenuti è toccato all’avvocata Maria Rosa Damizia, amministrativista, che si è occupata di un ricorso al Tar per chiedere l’ingresso al porto della nave. «C’era una condizione di malattia e disagio diffuso – dice – per questo abbiamo deciso di fare ricorso al Tar contro il decreto interministeriale che vietava alla Open Arms l’ingresso nelle acque territoriali». Cosa che avverrà qualche giorno dopo, anche se i passeggeri della nave furono costretti a rimanere a bordo ancora per diverso tempo. Infine, la procura ha chiesto la revoca della testimonianza di Richard Gere per questione di utilità, trovando l’opposizione delle parti civili, con il presidente che ha sentenziato: «Al momento, non si dispone la revoca». Sarà da vedere se l’attore riuscirà a essere a Palermo per una delle prossime due date disponibili, in cui dovrebbero essere esitati tutti gli esami restanti dei testi delle parti civili. Alla fine, Salvini è andato via dall’uscita riservata senza rilasciare dichiarazioni alla stampa, così come la sua avvocata, Giulia Bongiorno, che pure è solita commentare lo svolgimento delle udienze.


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