I due ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara, condannati nel processo di primo grado con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri – avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999 – hanno presentato ricorso in appello. «La sentenza di condanna tradisce tutti gli sforzi profusi dalla Corte che valuta in maniera ipertrofica i pochi, […]
Processo omicidio Scieri, il ricorso dei caporali condannati: «Il nonnismo ha regole che danno sacralità alla prassi»
I due ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara, condannati nel processo di primo grado con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri – avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999 – hanno presentato ricorso in appello. «La sentenza di condanna tradisce tutti gli sforzi profusi dalla Corte che valuta in maniera ipertrofica i pochi, pochissimi elementi a disposizione che, similmente a una coperta troppo corta, non possono che palesare tutti i limiti dimensionali di cui sono portatori». Così si legge nell’atto di impugnazione della sentenza di condanna (a 26 anni di carcere per Panella e a 18 per Zabara) presentato dagli avvocati Andrea Di Giuliomaria e Mariateresa Schettini che difendono Zabara. Un documento, depositato in Corte d’Assise d’Appello a Firenze, con cui i legali chiedono l’assoluzione o, in via subordinata, di riqualificare il fatto nel reato di omicidio preterintenzionale o morte come conseguenza di altro delitto.
All’epoca archiviato come suicidio, a distanza di oltre vent’anni, il caso Scieri è stato riaperto dalla procura di Pisa, dopo la relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta in cui era già venuto fuori il clima violento in caserma. «Il fenomeno del cosiddetto “nonnismo” (rigorosamente scritto tra virgolette nel documento del ricorso, ndr) rappresenta il filo conduttore dell’intera trama della sentenza, il contesto in cui sarebbe maturato il presunto omicidio di Emanuele Scieri, che conferisce significato al movente». Un atto in cui, per i difensori dell’imputato, l’omicidio Scieri torna a essere “presunto” e il nonnismo sarebbe «un preconcetto senza elementi probatori o indiziari». Tanto che gli avvocati si spingono fino a mettere nero su bianco che «ciò che ricollega, in termini di oggettività, la morte di Scieri a un atto di prepotenza e supremazia dei “nonni” (ancora una volta tra virgolette, ndr) è solo il luogo dove si è verificata, una caserma. Al contrario – aggiungono – la morte presenta peculiarità tali che si pongono in netto conflitto alle pratiche “nonnistiche” (sempre con la solita coppia di segni di punteggiatura, ndr)». Atti che, per i difensori, sarebbero stati compiuti soltanto all’interno delle camerate e non all’aperto o alla luce del sole anche perché «il nonnismo – scrivono nel ricorso – è presidiato da specifiche regole che restituiscono sacralità alla prassi».
A descrivere bene questa prassi nel suo Zibaldone, era stato un altro dei protagonisti di questa vicenda: ex l’ex comandante della Folgore Enrico Celentano che, insieme al suo allora aiutante maggiore Salvatore Romondia, è definitivamente uscito dal processo in cui era imputato per favoreggiamento. Nel processo di primo grado con rito abbreviato era stato assolto anche il sottufficiale dell’esercito Andrea Antico; adesso, in Appello, per lui il procuratore generale ha chiesto una condanna a 16 anni e mezzo. Nei racconti Alessandro Meucci – che, negli anni, è diventato il supertestimone di questa vicenda – sarebbe stato proprio Antico la sera dell’omicidio (il 13 agosto del 1999) a dire rivolto agli altri due imputati: «L’abbiamo fatta grossa». L’indomani poi sarebbe stato Zabara a dire a Panella: «Questa volta hai esagerato». L’ex commilitone, che quella sera era di servizio come piantone alla camerata, ha raccontato di avere visto rientrare i tre dopo il contrappello «molto agitati, terrorizzati, parlottavano tra sé e sudavano freddo». Avvicinatosi per capire se fosse tutto a posto da Panella avrebbe ricevuto come risposta una minaccia: «Fatti i cazzi tuoi, sennò ti ammazzo».