Va avanti il procedimento per l'omicidio del parà siracusano avvenuto nel 1999 dentro la caserma Gamerra di Pisa. In videoconferenza dall'ambasciata di Washington si è collegato l'allora ufficiale di picchetto che oggi è un generale dell'esercito
Processo Lele Scieri, i tanti dubbi sul segreto militare «I vertici non vennero in caserma la notte della morte»
«Cameratismo, senso di protezione e spirito di corpo, anche dopo anni, non cambiano». È la considerazione che fa a MeridioNews Alessandra Furnari, l’avvocata che – insieme al collega Ivan Albo – rappresenta le parti civili nel processo con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999. Dopo i commilitoni che trovarono il cadavere sotto la torretta di asciugatura dei paracadute e quello che finora era stato considerato il supertestimone Stefano Viberti, l’udienza di ieri è stata dedicata ad altri quattro degli oltre cento testimoni previsti. Gli imputati sono gli ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara, quest’ultimo come sempre presente in aula. Sono stati invece assolti in primo grado il sottufficiale dell’esercito Andrea Antico per lo stesso reato e gli ex ufficiali della Folgore Enrico Celentano e Salvatore Romondia che erano accusati di favoreggiamento. La procura ha già presentato l’appello.
Ieri è stata la volta di Stefano Messina. L’allora ufficiale di picchetto, oggi lavora come generale dell’esercito a Washington (negli Stati Uniti) da dove si è videocollegato dall’ambasciata. «Escluso categoricamente che quella sera (quella della morte di Scieri, ndr) possano essere venuti in caserma il comandante Celentano e il colonnello Pierangelo Corradi». Quest’ultimo, che nel frattempo è deceduto, all’epoca era il comandante del centro di addestramento di paracadutismo. Proprio nella notte in cui Scieri viene ucciso, è lui stesso a segnarsi un’ora di straordinario tra l’1 e le 2. Messina ha ribadito di non averli incontrati e che, se fosse entrati alla caserma in un momento in cui lui era a fare le ispezioni, una volta tornato nel corpo di guardia, glielo avrebbe riferito perché sarebbe stato suo compito andare a cercarli, capire il motivo della visita e annotare tutto nel registro. Ed è a questo punto che i legali della famiglia Scieri, il procuratore Alessandro Crini, il sostituto Sisto Restuccia e poi anche la presidente Beatrice Dani hanno puntato sul segreto militare che è previsto dal codice. Un vincolo giuridico che vieta la diffusione di informazioni che potrebbero essere dannose per gli interessi militari di un Paese. «Se Celentano e Corradi le avessero ordinato ordinato di non dare atto della loro presenza in caserma – ha chiesto l’avvocato Albo a Messina – lei avrebbe dovuto rispettare quell’ordine sulla scorta del segreto militare?». Risposta negativa da parte dell’allora ufficiale di picchetto a cui poi è stata la presidente a chiedere se «negli ultimi venti anni, in relazione al caso Scieri, c’è mai stata qualche domanda che riguardava fatti coperti da segreto militare». Ancora un altro secco no da parte del generale Messina che, in merito al suo comportamento della notte del 13 agosto 1999, ha ammesso di avere subito un procedimento disciplinare ma «l’ho impugnato e ho vinto il ricorso perché – aggiunge – a me che Scieri era rientrato in caserma non lo ha detto nessuno».
A subire una sanzione era stato, invece, Alfio Pellegrin. Il capitano di ispezione che ieri ha dato un’idea di come era strutturata la caserma con i vari reparti e le diverse compagnie. Di quella degli imputati (la terza) era sottufficiale del reparto corsi Salvatore Petracca, che oggi gestisce una società di droni «a uso civile e professionale – ci ha tenuto a precisare – e non militare». Ha detto di non ricordare chi lo avvisò del ritrovamento di un corpo senza vita all’interno della Gamerra e, nonostante fosse nella loro stessa compagnia, ha dichiarato di non ricordare né Antico, né Panella, né Zabara. A fornire invece qualche elemento per tracciare un profilo è stato Francesco Gianfrate che, all’epoca faceva parte dello stesso scaglione di Antico e Zabara e che era diventato l’«allievo prediletto» di Panella. Con qualche reticenza e con il supporto delle contestazioni, ha raccontato che quando era arrivato alla Gamerra, anche lui era stato sottoposto ai pompaggi da parte di Panella. La situazione cambia quando, stando al suo racconto, Panella gli sarebbe salito sopra e gli avrebbe sferrato un cazzotto sul costato. «A quel punto mi sono alzato, mi sono messo di fronte a lui e gli ho detto: «”Questo se me lo fai un’altra volta, io ti faccio fare la fine del tappo“». La minaccia di un pugno in testa per rispondere alla violenza da cui sarebbe nato un rapporto più stretto tra i due. Gianfrate ha ammesso di avere avuto varie volte una funzione di controllo nei confronti dell’ex caporale: «Quando lo vedevo che esagerava, gli dicevo di fermarsi e lui si fermava». La notte in cui Scieri viene ucciso Gianfrate non è in caserma.