La corte di Cassazione nel giugno 2014 aveva annullato con rinvio una parte della sentenza per associazione mafiosa. L'imprenditore, che si è sempre definito vittima della mafia, secondo l'accusa, avrebbe ricevuto l'appoggio di Cosa Nostra palermitana per la sua espansione economica nella Sicilia occidentale
Processo a Scuto, ex re dei supermercati L’accusa chiede condanna a 12 anni
Conferma della precedente condanna d’appello per l’imprenditore puntese Sebastiano Scuto. Ad avanzare la richiesta durante la requisitoria dell’ultima udienza del processo di secondo grado è stato il procuratore generale Gaetano Siscaro. L’ex re dei supermercati rischia una pena a 12 anni.
Il processo è ripreso nelle aule giudiziarie di piazza Verga dopo la decisione della corte di Cassazione del giugno 2014. I giudici ermellini avevano da un lato annullato con rinvio una parte della sentenza di condanna per associazione mafiosa – quella relativa alla sua espansione imprenditoriale a Palermo – disposta dalla corte d’appello di Catania e dall’altro cristallizzato la parte relativa alla vicinanza dell’imprenditore al clan dei Laudani e di altri gruppi alleati.
Scuto secondo l’accusa avrebbe «raggiunto un ruolo dominante in campo economico grazie all’appoggio del clan mafioso dei Laudani» in cambio si sarebbe reso disponibile nei confronti dei cosiddetti mussi di ficurinia «quale finanziatore e riciclatore nelle sue imprese del denaro proveniente dalle attività illecite». Uno vero e proprio scambio «funzionale» tra imprenditoria definita «in partecipazione organica» e la mafia in cui, secondo la tesi portata avanti durante la requisitoria dal Pg Siscaro, i Laudani avrebbero beneficiato del dominio urbanistico e territoriale su San Giovanni La Punta.
Il vero nodo, su cui è chiamato a pronunciarsi il collegio presieduto dalla giudice Dorotea Quartararo (a latere Francesca Pulvirenti e Antongiulio Maggiore), è però quello relativo all’espansione imprenditoriale di Scuto nella Sicilia occidentale. Ascesa, che secondo l’accusa, sarebbe avvenuta a braccetto con Cosa Nostra palermitana e in modo particolare con il bene stare del capo Bernardo Provenzano.
Ancora con il punto interrogativo l’eventuale audizione del collaboratore di giustizia Francesco Franzese. La riserva verrà sciolta dai giudici soltanto dopo le repliche dei difensori dell’imprenditore. L’ex reggente del mandamento di Partanna-Mondello, sentito nel processo di primo grado, non era invece stato ascoltato in quello d’appello. Un mancato interrogatorio che secondo la Cassazione doveva essere fatto perché ritenuto «prova decisiva».
Altri capitoli dell’intricato caso Scuto sono quelli che riguardano il suo patrimonio. Recentemente è arrivata la decisione del tribunale penale federale svizzero che ha deciso di lasciare sotto confisca un conto corrente, aperto nel 1997 e intestato al figlio incensurato Salvatore, in cui sarebbero confluiti i soldi provenienti dall’attività del padre per un ammontare di oltre 700mila franchi svizzeri. L’imprenditore nell’aprile scorso si era visto respingere dai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Catania una richiesta di dissequestro di beni. Una scelta, motivata dalla «pertinenzialità al reato associativo, trattandosi di beni che sono serviti o sono stati destinati a consentire all’imputato la partecipazione alla associazione mafiosa clan Laudani».
Dall’arresto di Scuto nel 2001 alla condanna in primo grado ci sono voluti nove anni, ma si è corso il rischio di non celebrare affatto il processo. In quell’anno la procura etnea aveva chiesto l’archiviazione per la posizione dell’imprenditore, richiesta che venne poi respinta dal giudice per le indagini preliminare. L’inchiesta viene quindi avocata dalla procura generale di Catania che rilevò «inerzia e mala gestio» nelle indagini dei magistrati.