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Priolo, annunciata la vendita dell’Isab-Priolo: «Ma in attesa di un piano per lavoratori e riconversione»

L’annuncio di vendita c’è. Un piano preciso, soprattutto per i lavoratori dell’impianto Isab-Lukoil di Priolo, nel Siracusano, ancora no. È lo stato dell’arte della trattativa annunciata lunedì, subito dopo le feste, da Eugene Maniakhine, direttore generale di Isab, la società che produce in uno dei principali impianti del polo i prodotti petroliferi raffinati poi rivenduti da Lukoil. Necessari, allo stato, per fare camminare la Sicilia. Un annuncio congiunto con Michael Bobrov, amministratore delegato di Goi Energy, società di Cipro che intende rilevare la raffineria – di proprietà della svizzera Litasco, ma con portafoglio russo, e al momento in amministrazione dello Stato – la cui produzione è messa a rischio dalle sanzioni dovute alla guerra in Ucraina. Il closing – termine che, a guardare le traversie dei club calcistici dell’Isola, non ha mai portato bene – è previsto per fine marzo. Ma la vera prospettiva è molto più lunga e passa dal futuro del depuratore e da un serio piano di decarbonizzazione.

«Abbiamo una cauta precauzione nel dare giudizi – commenta a MeridioNews Roberto Alosi, segretario Cgil Siracusa – Continuiamo a chiedere di essere ascoltati dai governi, specie quello nazionale che, in virtù della golden power, ha la possibilità di applicare alla vendita delle prescrizioni. Noi pensiamo ovviamente a delle clausole che garantiscano l’occupazione, ma anche seri programmi di investimento futuri per la riconversione energetica ed ecologica». Senza le quali, il rischio di ritrovarsi in crisi a stretto giro sarebbe inevitabile. Il riferimento è all’Agenda 2030, il piano dell’Unione europea verso le emissioni zero nel 2050: con alcuni passaggi intermedi, tra cui l’appuntamento a sette anni da ora. Scadenza per la quale l’Italia – secondo il report Zero Carbon Policy Agenda, realizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano – sarebbe già ben in ritardo, arrivando al 2030 con appena un quarto delle emissioni ridotte rispetto a quanto richiesto dal piano europeo.

Un obiettivo, anche per il polo petrolchimico di Priolo, da raggiungere con costosi interventi di ammodernamento e riconversione. Così costosi e ancora non avviati, da parte di multinazionali non legate al territorio, da essere in cima alla lista delle preoccupazioni dei sindacati. Con una domanda: cosa li trattiene dal chiudere in Sicilia e trasferire l’attività fuori dai vincoli europei? Domanda superata dalla guerra in Ucraina ma pronta a riproporsi a breve. «La scommessa è proprio dare una prospettiva futura all’intero polo petrolchimico di Siracusa – continua Alosi – In 70 anni non è la prima volta che assistiamo a cambi di proprietà importanti, come quello tra Esso e Sonatrach. Se da un lato significa che il polo ha ancora appeal, dall’altro impatta sul territorio e i suoi lavoratori». Tremila solo quelli Isab-Lukoil, diecimila in totale nel polo, considerato anche l’indotto. «Noi pensiamo di avere delle proposte e il titolo per avanzarle, manca solo l’occasione al momento», conclude il sindacalista. Magari in un incontro a Roma, chiesto ma ancora non avvenuto.

Incertezza che si aggiunge all’altra minaccia per il polo di Priolo: il depuratore nel mirino della procura di Siracusa per disastro ambientale. A fine anno era arrivata la doccia che non può definirsi fredda: Antonio Mariolo, amministratore giudiziario dell’impianto, aveva intimato alle raffinerie di sospendere il conferimento dei reflui industriali, considerato che, dal sequestro, nulla era cambiato nell’incapacità di trattarli. Un problema di competenza del consorzio regionale Asi Sicilia orientale, proprietario del depuratore, a cui è stato in fretta assegnato dal governo regionale un commissario liquidatore: Giovanni Ilarda, ex magistrato in pensione con una parentesi da assessore durante il governo di Raffaele Lombardo. A lui il compito di trattare con la procura per evitare uno stop improvviso e garantire la produttività del polo petrolchimico. Tre incognite in totale, in un territorio che ha il polo petrolchimico come unica certezza.


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