I dati, le informazioni, le analisi presentate in questo volume dimostrano in modo inequivocabile ciò che il suo titolo suggerisce. L’università italiana è indubbiamente malata, se con ciò intendiamo il fatto che presenta alcune gravi carenze di funzionamento e di risultati (talune conseguenza di politiche miopi perseguite da tutti i governi, altre di vizi e […]
Presentazione del volume: Luniversità malata e denigrata
I dati, le informazioni, le analisi presentate in questo volume dimostrano in modo inequivocabile ciò che il suo titolo suggerisce. L’università italiana è indubbiamente malata, se con ciò intendiamo il fatto che presenta alcune gravi carenze di funzionamento e di risultati (talune conseguenza di politiche miopi perseguite da tutti i governi, altre di vizi e resistenze corporative del ceto accademico), rispetto a sistemi universitari all’avanguardia nel mondo come quelli inglese e olandese, per limitarci all’Europa. Rispetto a tali gravi carenze il nostro sistema universitario non può, e a nostro parere non deve, essere difeso, ma deve al contrario essere aiutato a compiere un profondo rinnovamento.
Ma l’università italiana è stata al tempo stesso denigrata dalle polemiche recenti scatenate da esponenti del ceto politico, da taluni studiosi che hanno rinunciato all’equilibrio e all’approfondimento delle analisi, e soprattutto dai media. Non passa ormai giorno in cui una trasmissione televisiva o l’editoriale di un quotidiano nazionale non porti il suo contributo a questa opera di demolizione del sistema universitario, che fa di ogni erba un fascio (finendo così con il demotivare anche i tanti docenti e ricercatori che svolgono egregiamente il loro lavoro nonostante le disfunzioni del sistema in cui operano) e che mescola disinvoltamente carenze reali e difetti inventati.
La vis denigratoria appare molto più chiaramente se ci confrontiamo con i nostri vicini europei, come questo volume aiuta a fare.
– Il confronto rende infatti evidente che talune anomalie imputate al nostro sistema universitario (ad esempio la proliferazione eccessiva dei corsi di studio, o gli stipendi “eccessivi” dei docenti, o il basso livello delle tasse universitarie) non sono in realtà tali. Il che significa che non si tratta di aspetti così deprecabili come da varie parti si vuole far credere. Oppure che si tratta in effetti di aspetti problematici ma comuni ad altri paesi, per i quali questi paesi stanno spesso sperimentando delle soluzioni, a cui dovrebbe più proficuamente rivolgersi la nostra attenzione.
– Altre carenze di funzionamento e di risultati appaiono invece più accentuate nel caso italiano (ad es. il finanziamento non selettivo dell’università e della ricerca, o il sistema di governance degli atenei). Ma l’esperienza dei paesi vicini ci mostra che problemi molto simili sono in via di soluzione solo laddove i governi (centrali o regionali, secondo i casi) decidono di porre questi problemi nell’agenda politica in modo determinato.
– Infine, vi sono carenze e anomalie (quali la struttura della docenza o i sistemi di reclutamento) che certamente dipendono in primo luogo da vizi antichi del ceto accademico italiano. Su queste ultime in particolare si è scatenata la frenesia scandalistica, che per sua natura è portata a generalizzare a tutto il sistema gli esiti peggiori che si riscontrano in talune sedi e in talune aree disciplinari. Anche per queste carenze, un atteggiamento più equilibrato e volto al problem-solving avrebbe dovuto guardare a ciò che stanno facendo gli altri paesi europei più simili al nostro, nessuno dei quali ha trovato finora la formula magica per risolvere in modo del tutto soddisfacente quei problemi di trasparenza ed equità che in Italia si pongono certamente in modo più acuto, così come del resto avviene in molte altre aree della vita sociale e politica della nazione. Ma è parere di chi scrive che su questo punto la comunità accademica non debba chiedere attenuanti ma debba invece operare con una decisa auto-critica, nel momento stesso in cui chiede a governo, media e opinione pubblica di rinunciare ai toni puramente denigratori, non suffragati dai fatti, sugli altri temi.
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Indice del volume
Introduzione (Marino Regini)
1. Una proliferazione eccessiva dell’offerta formativa? (Renata Semenza)
1.1. Quante sono le Università in Europa
1.2. Una “esplosione” dei corsi di laurea? Patologie e illusioni ottiche
1.3. Il dottorato di ricerca
2. Una “produttività” insoddisfacente? (Daniela Bellani e Sabrina Colombo)
2.1. La “produttività nella formazione del capitale umano”: il tasso di laureati
2.2. I percorsi di studio irregolari
2.3. La diffusione del diritto allo studio in Europa
2.4. La produttività scientifica delle università: i ranking internazionali
3. Una disattenzione al mondo del lavoro? (Sabrina Colombo e Daniela Bellani)
3.1. Disuguaglianza di accesso e servizi agli studenti in Europa
3.2. Laureati in (s)vantaggio nel mercato del lavoro?
3.3. Un mismatch fra domanda e offerta? I laureati europei nei diversi campi di studio
4. Una università dei baroni? (Gabriele Ballarino)
4.1. Quanti sono i baroni
4.2. Quanto guadagnano i baroni
4.3. La governance degli atenei in Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Olanda
4.4. I sistemi di reclutamento europei a confronto
5. Una spesa eccessiva e caratterizzata da sprechi e inefficienze? (Loris Perotti)
5.1. Quanto si spende in Europa e negli USA per l’istruzione terziaria
5.2. Quanti docenti per quanti studenti
5.3. Quanto spendono le famiglie: le tasse universitarie in Europa e negli USA
5.4. La percentuale di finanziamenti erogati su base competitiva
5.5. I finanziamenti esterni alle università