Pina Maisano Grassi: «Libero solo contro Cosa Nostra» «Oggi l’antimafia un paravento per costruire carriere»

«Quella mattina sentii i colpi di rivoltella, poi qualcuno mi suonò al mio citofono per chiedermi se mio marito era in casa. In quell’istante capii tutto, mi precipitai giù, ma non volli vedere il corpo di Libero». Pina Maisano Grassi, la vedova dell’imprenditore ucciso da Cosa nostra per aver detto di no al pizzo, ha la voce spezzata dalla commozione. Sono passati 24 anni eppure il ricordo provoca ancora lo stesso dolore. Una ferita che il tempo non rimargina. «Per me è come se fosse successo ieri – racconta a MeridioNews -, in mente quell’immagine è vivissima e nel cuore provo la stessa l’emozione». Sospira Pina Maisano Grassi. E ricorda.

«Era un uomo preciso, un po’ “rompi” – dice sorridendo – perché tutto era soggetto al suo esame. Ma aveva tantissimi amici e tante passioni». Il suo più grande insegnamento? «La coerenza, la capacità di non tradire mai i propri valori» dice. Una coerenza portata sino alle estreme conseguenze. Fino al sacrificio finale. Perché «non mi piace pagare. È una rinuncia alla mia dignità d’imprenditore» diceva Libero. «Se ripenso agli ultimi giorni insieme – racconta ancora la vedova – lo ricordo preoccupato per le continue pressioni, le minacce, gli avvertimenti. Eppure era determinato ad andare avanti, per lui non c’era altra strada, altro modo di comportarsi».

La morte è arrivata inaspettata. Almeno per Pina. «Non so se Libero in cuor suo pensasse a questo tragico epilogo – dice -. Io no di certo. Credevo, allora, sbagliando, che la sua uccisione, un’azione così cruenta verso un cittadino perbene sarebbe stata controproducente per la mafia, avrebbe generato la reazione della società civile e dello Stato». Libero denuncia. Fa nomi e cognomi. In pubblico e sui giornali. «Era un modo per cercare solidarietà, per sentirsi meno solo. Ma non ricevette nessun appoggio» ammette la vedova. Anzi qualche imprenditore vide in quella ribellione la volontà di stare sotto i riflettori. «Qualcuno disse persino che la morte se l’era cercata».

Era solo Libero. Nel dire no al pizzo, ma soprattutto nella caparbia ostinazione a voler parlare di mafia. Un tabù in quegli anni. «Fu ucciso per questo – dice Pina Maisano Grassi – perché ha rotto il muro di omertà, perché con il suo comportamento danneggiava Cosa nostra e perché non ci sarebbe stato altro modo per zittirlo. Se non fosse stato lasciato solo, forse la storia sarebbe andata diversamente» aggiunge amara.

Oggi la situazione è cambiata. Di mafia si parla e si scrive. Eppure per la vedova Grassi la lotta a Cosa nostra resta a due velocità. «La società civile si è mossa di più in questi anni – dice -. Ne sono prova le tante associazioni antimafia nate negli anni. L’azione di politica e istituzioni, invece, è ancora carente, potrebbe essere più incisiva di fronte a una mafia con interessi economici sempre più estesi e internazionali. Occorrerebbe non abbassare la guardia, capire quanto, come e perché questo fenomeno è ancora attivo e inquina la società». E, invece, a livello nazionale di mafia non si parla. «Non ne parla Renzi – prosegue -, ad esempio. Perché? È come se la mafia non fosse “cosa loro”, ma solo nostra». Così a fronte dei «grandi successi di magistrati e forze dell’ordine» c’è, come contraltare, «una scarsa attenzione da parte delle istituzioni».

«Ci sono stati anni in cui la coscienza antimafia si è sviluppata e rafforzata – dice Davide Grassi, figlio di Libero -. Poi da un paio di anni questa onda ha iniziato a indebolirsi. Così chi in buona chi in cattiva fede ha iniziato ad usare l’antimafia come un paravento per costruire carriere». I recenti fatti di cronaca lo dimostrano. C’è, ad esempio, l’arresto di Roberto Helg, presidente della Camera di commercio di Palermo, arrestato mentre intascava una tangente di 100mila euro. «Non mi ha meravigliato – dice Pina -, Libero ne aveva una scarsa considerazione, diceva che era contrario alla corruzione e alla collusione solo a parole e i fatti gli hanno dato ragione». E Crocetta? «Un po’ mi ha delusa – ammette la vedova -, credo non abbia avuto la forza sufficiente a opporsi agli interessi criminali. Non è stato capace di circondarsi delle persone giuste. L’abbandono di Rita Borsellino (ex assessore regionale alla Salute dimissionaria, ndr) penso sia significativo». Davide si spinge oltre. «Al di là dello scandalo delle intercettazioni e nonostante la fiducia che avevo riposto in lui, oggi penso che sia totalmente inadeguato a ricoprire il suo ruolo».


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