Nella zona di corso Indipendenza il ricordo di Salvatore La Fata, l'ambulante ed ex operaio edile morto il 30 ottobre 2014, è ancora forte. Come dimostrano i fiori che non mancano mai sull'altarino a lui dedicato. In memoria del giorno in cui il 56enne si è dato fuoco durante un controllo antiabusivismo dei vigili urbani etnei
Piazza Risorgimento, un anno dopo morte La Fata Chiuse le indagini sui due agenti della municipale
«Su passunu ‘i ‘mmazzunu». In piazza Risorgimento di vigili urbani non vogliono sentire parlare. A maggior ragione adesso, a un anno esatto dalla morte di Salvatore La Fata, l’ambulante ed ex operaio edile che si è dato fuoco proprio in piazza, davanti alla sua bancarella, durante un controllo antiabusivismo della polizia municipale. La dinamica di quanto accaduto non è mai stata ricostruita chiaramente ed è servita una denuncia dei familiari dell’uomo per costringere la procura ad aprire un’indagine. Che è stata portata avanti – pare – a carico di due agenti. E che sarebbe stata conclusa. Il fascicolo è nelle mani della magistrata Agata Consoli. Che potrà chiedere al giudice il rinvio a giudizio per i vigili. Oppure l’archiviazione del procedimento.
Era il 19 ottobre del 2014 e La Fata, 56 anni, sarebbe morto 11 giorni dopo nel reparto di terapia intensiva post-operatoria dell’ospedale Cannizzaro di Catania. A essergli fatali le ustioni di secondo e terzo grado sul 60 per cento del corpo. Quelle ustioni che si è causato da solo versandosi addosso una bottiglia di benzina, mentre gli uomini delle forze dell’ordine tentavano di multarlo per colpa della sua bancarella. Ma alcuni testimoni avevano raccontato di aver sentito i vigili invitare l’uomo a darsi fuoco. Una versione a seguito della quale l’avvocato Francesco Marchese, legale di Alfia Poli – la vedova di La Fata -, ha presentato una denuncia alla procura etnea. Accusando i vigili urbani di istigazione al suicidio e omissione di soccorso. Un fatto ancora vivo nella memoria di chi frequenta la zona: «Non la possono passare liscia», dicono i commercianti.
«La mattina qua è come sempre», racconta un anziano, seduto a giocare a carte a un tavolino di piazza Risorgimento. «Montano le bancarelle e poi smontano a ora di pranzo». Di forze dell’ordine, secondo lui, non se ne vedono più da un anno. «No, non è vero», lo smentisce un vicino. «Pochi giorni fa si sono portati quello là che vende il pesce spada all’angolo – dice – Gli hanno fatto duemila euro di multa, a ‘du pureddu». «Chiddu ro’ pisci? Unu ca’ non cunta nenti, cettu ca’ sa pigghianu cu’ iddu», risponde il macellaio. «Quello che vende il pesce? Non conta niente, se le sono presa con lui per quello», è la traduzione dal dialetto.
Dopo un anno dalla tragedia, i fiori sull’altarino per Salvatore La Fata sono sempre freschi. «Noi quello che è successo non possiamo dimenticarlo», dichiara la moglie. «I giornali hanno raccontato questa storia come volevano loro, si è detto che mio marito era disperato e che i vigili non hanno fatto niente – continua Alfia Poli – Adesso lasciamo che parlino gli avvocati. E che decidano giudici e magistrati». Anche sulla base dei racconti di chi ha visto quello che è successo quella mattina. «Dopo che siamo andati a Chi l’ha visto? a chiedere ai testimoni di parlare si sono fatte avanti altre due persone», dice la signora. Due persone in più, oltre alla donna che aveva rilasciato le sue dichiarazioni da subito.
«Non ci si mette più nessuno dove una volta ci stava Salvo La Fata», spiega un residente del quartiere. «Agli angoli sì, e pure dietro, da dove comincia corso Indipendenza. Ma là proprio no. C’è l’altare, ci sono i fiori, non è rispetto». «Ma non è po’ rispettu – interviene un altro – è che ci sono i cartelloni della macelleria. Quelli non li può toccare nessuno». «Comunque – ricomincia l’uomo – com’è e come non è, a La Fata non ce lo possiamo ricordare solo noi. Si deve fare qualche cosa, se ne deve parlare, almeno per dare un po’ di tranquillità alla famiglia».