Perché l’Unione europea è a rischio di fallimento

ABBIAMO LETTO E COMMENTIAMO UN’ANALISI DE IL GIORNALE. DOVE SI DIMOSTRA CHE L’AUSTERITA’ IMPOSTA DALLA GERMANIA PRODURRA’ (ANZI, HA GIA’ INZIATO A PRODURRE) TRE COSE: SVENDITA DEL PATRIMONIO PUBBLICO, AUMENTO DELLA PRESSIONE FISCALE E TAGLIO DELLA SPESA PUBBLICA IN FAVORE DELLA POPOLAZIONE

Il progetto di Unione europea è a rischio di fallimento. Ormai l’Europa si costruisce con le forze militari d’intervento rapido. L’annessione militare dell’Ucraina è l’ultimo episodio di questa tendenza. Il tutto mentre si va avanti con le politiche di “austerità” che concorrono non poco ad impoverire il sistema economico europeo.

Sull’argomento abbiamo letto, tra gli altri, un intervento de “il giornale.it” che ci ha abbastanza sorpreso e del quale volentieri riportiamo ampi stralci nel contesto di alcune nostre considerazioni.

L’Europa e, segnatamente, i Paesi della ‘zona Euro’, sono soggetti alla politica di austerity, la quale altro non è che una teoria-terapia anti crisi che ha portato con sé decrescita e stagnazione economica. Le uniche cose che sono cresciute sono la disoccupazione, l’occupazione precaria o il mini job, una forma di lavoro sottopagato diffusa in Germania e nei Paesi dell’Est.

Rispetto a questa opzione economica, fatta eccezione per quelli della Bundesbank, tutti gli economisti (e tra questi almeno 5 premi Nobel), si sono pronunciati negativamente. Taluno ha addirittura suggerito al nostro Paese l’abbandono dell’euro.

Di questa terapia-teoria si è temporaneamente avvantaggiata la Germania, ma adesso anche lì si avvertono preoccupanti segnali di crisi. La nostra opinione sul punto è che la Germania ha tratto vantaggio dall’allargamento da 15 a 28 Paesi dell’Unione, quasi tutti dell’Est europeo, presso i quali ha potuto penetrare facilmente con le proprie produzioni. Questi provvidenziali sbocchi commerciali hanno favorito la tenuta economica e occupazionale tedesca, anche più dei vincoli derivanti dal Trattato di Maastricht del 1992.

Ricordiamole, le condizioni che concorrono a definire la politica di austerity: non solo la soglia del 3 per cento quale tetto massimo del disavanzo annuale del bilancio statale (Maastricht, appunto), ma anche il Fiscal Compact e il Two Pack. Due misure che prescrivono la definizione delle compatibilità finanziarie ed il preventivo controllo dei bilanci dei singoli Stati, specialmente quelli più indebitati, dal competente commissario europeo. Ottenuto il benestare, i singoli organi legislativi possono procedere all’esame ed all’approvazione dei bilanci senza modificarne i termini complesivi.

Sull’argomento “il giornale.it” interviene con un servizio che indica nell’ossessiva insistenza da parte tedesca di imporre a tutta l’Europa le riforme, che hanno come unico scopo quello di far quadrare i bilanci pubblici, la responsabilità del protrarsi della crisi economica in Europa.

Tutte misure che rientrano nella visione in verità un po’ avara della gestione pubblica tedesca, che vede nell’inflazione il demonio e, quale antidoto, preferisce la deflazione, che è ancora peggio. L’inflazione ha il torto di svalutare la moneta, la deflazione svaluta il lavoro e riduce la produzione e rende tutti più poveri.

I tedeschi nel loro sistema di valori assunti nel dopoguerra 1940-1945 hanno posto l’ostracismo all’inflazione. Ciò in quanto, a seguito della disastrosa vicenda economico-sociale della Repubblica di Weimar, in Germania si è imposto il regime nazista che ne ha segnato pesantemente la storia. La dittatura hitleriana ha sconfitto l’inflazione, ma ha anche distrutto l’intera nazione.

Esiste un’altra via per debellare l’inflazione. E’ quella intrapresa da Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro, il quale, dando vita alla politica della Concertazione, ha sconfitto l’inflazione in Italia quando questa viaggiava a due cifre. Senza bisogno d’innescare la guerra mondiale come aveva fatto Hitler. Guerra che con l’inflazione non aveva nulla a che spartire.

“il giornale.it” rileva tre misure di governo obbligate dalle azioni anti crisi imposte dall’Europa: svendere il patrimonio pubblico, aumentare la pressione fiscale e tagliare la spesa sociale. E conclude con una notazione che mai ci saremmo aspettati da chi predica da sempre il liberalismo economico, il neoliberismo: “Tutto ciò significa affamare il lavoro e spostare enormi masse di ricchezza verso il capitale privato”, nonché “le riforme del lavoro che hanno il denominatore comune di attaccare i diritti dei lavoratori (rigidità) al fine di fare della forza lavoro una variabile talmente subordinata (flessibile) al cosiddetta ‘datore’, che deve poter decidere in libertà se e a quali condizioni utilizzarla”.

Il quotidiano della famiglia Berlusconi conclude con una affermazione lapidaria: “La disciplina di bilancio suppone il ruolo chiave del capitale finanziario nel processo di produzione Questa teoria affida la dinamica economica alle decisioni (convenienze, ndr) del capitale privato”. E’ un’analisi che sottoscriviamo.

Sottoscriviamo ed aggiungiamo, soggetto che diventa l’unico regolatore della vita sociale e, perché no?, istituzionale.

Riccardo Gueci

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