«Il ministro dell’Interno non ha ancora formalmente comunicato il Pos (il porto sicuro ndr) e quindi tutta la catena di comando, dal centro verso la periferia, rimane bloccata in attesa delle determinazioni di carattere politico del signor ministro dell’Interno». Il 25 agosto, davanti ai pm di Agrigento (i primi a occuparsi del caso Diciotti) la prefetta Gerarda Maria Pantalone – Capo del Dipartimento per le Libertà Civili e per l’lmmigrazione – ricostruisce i giorni caldi dell’attesa della nave con a bordo 177 migranti. E indica nella volontà di Matteo Salvini la motivazione dello stallo. Le sue dichiarazioni – poi in parte ritrattate davanti i giudici di Palermo in una rettifica che adesso il Tribunale dei ministri di Catania definisce «sospetta» – e quelle degli altri altri ufficiali coinvolti nella vicenda sono alla base delle accuse mosse al ministro dell’Interno. In 52 pagine, il Tribunale dei ministri spiega perché Salvini dovrebbe – Senato permettendo – essere processato per sequestro di persona aggravato e come mai la sua decisione di trattenere a bordo i migranti non possa essere catalogata come «atto politico», circostanza quest’ultima che comporterebbe l’insindacabilità del suo operato da parte di un giudice penale.
LA COMPETENZA DI CATANIA
Come detto, è la procura di Agrigento la prima a occuparsi della Diciotti, perché a Lampedusa vengono evacuati i primi 13 migranti che necessitano cure immediate. I pm agrigentini chiedono dunque al tribunale di Palermo di procedere ad accertamenti in relazione alle operazioni di soccorso e salvataggio del 16 agosto. Ma il Tribunale dei ministri di Palermo non ravvisa nessuna condotta penalmente rilevante e si dichiara incompetente per quanto successo nei giorni successivi. La palla passa così a Catania. Dove la Procura guidata da Carmelo Zuccaro, dopo gli accertamenti, chiede per due volte l’archiviazione dell’indagine. Richiesta respinta dal Tribunale dei ministri di Catania che riscontra gli estremi per contestare il reato di sequestro di persona, aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, dall’abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per avere commesso il fatto anche in danno di soggetti minori di età.
LE MOTIVAZIONI DEL TRIBUNALE
I giudici di Catania sottolineano come prima cosa che «l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare». E ricordano che «le convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato». In sostanza, ed è la stessa Costituzione a dirlo, le convenzioni internazionali «sono superiori alla disciplina interna e non possono essere oggetto di deroga».
Il ministro Salvini, invece, avrebbe interferito in maniera illecita nell’indicazione del porto sicuro (il Pos, place of safety), «abusando delle sue funzioni amministrative» e «ponendo arbitrariamente il proprio veto». In questo modo ha causato «la forzosa permanenza dei migranti a bordo della Diciotti», privandoli della loro libertà personale per un arco di tempo non consentito dalla legge.
LE TRE RICHIESTE DI UN PORTO SICURO
Affinché un’imbarcazione con a bordo migranti possa attraccare in un porto italiano, deve fare richiesta al comando generale della Guardia costiera di Roma. Quest’ultima, a sua volta, deve chiedere a quale porto destinare la nave al Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno. Ebbene, per tre volte, in quei giorni convulsi di metà agosto, il comando generale della Guardia costiera chiede al Viminale quale sia il Pos dove mandare la Diciotti. Lo fa il 15, il 17 e il 24 agosto. I migranti scenderanno solo nella notte tra 25 e 26.
Il Tribunale dei ministri di Catania giudica la prima richiesta «atipica», e quindi non accettabile, perché arriva mentre la Diciotti è in zona Sar maltese e prima che le operazioni di soccorso siano iniziate (condizioni che invece sono indicate dalle normative e dalle linee guida secondo cui l’indicazione di un luogo sicuro segue il recupero dei sopravvissuti). Ma è sulla seconda richiesta, quella del 17 agosto, che invece si basano le contestazioni dei giudici. La nuova richiesta di un porto sicuro arriva dopo un fitto scambio di comunicazioni con Malta e di richieste di un Pos rifiutate da La Valletta. A questo si aggiunge che, in precedenza, erano arrivate alla centrale di Roma telefonate dei migranti a bordo del barcone, in cui denunciavano di stare imbarcando acqua. Come raccontato dagli ufficiali della Guardia costiera ai pm di Agrigento, è quella la prima richiesta formale di porto sicuro avanzata a Roma.
«Abbiamo ritenuto già il 15 agosto alle 20:24, prima delle operazioni di salvataggio, di richiedere il Pos idoneo in via preventiva – spiega ai pm di Agrigento il contrammraglio Sergio Liardo, capo reaprto da cui dipandente la centrale operativa di Roma – ma il Pos vero e proprio lo abbiamo chiesto il 17 agosto alle ore 22:30. Dopo un corposo scambio di email con l’autorità maltese, noi abbiamo ritenuto, a prescindere dalla zona Sar di competenza, di dover intervenire sulla base delle telefonate ricevute e sulla base delle valutazioni delle motovedette intervenute. Il nostro intervento è prescritto dalle disposizioni internazionali in materia di salvataggio».
Ma la risposta non arriva. Ed è in questa fase che lo stop sarebbe arrivato direttamente da Salvini. Sul fatto che la decisione di non far scendere i migranti sia stata presa dal ministro in persona, riferiscono il contrammiraglio Liardo, la prefetta Pantalone, il prefetto Bruno Corda e pure il prefetto Piantedosi, capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno che al tribunale dei ministri di Palermo dice: «Da giorno 20 agosto fino al 25 ho avuto molte interlocuzioni con il ministro Salvini a proposito di nave Diciotti, mi sono preoccupato di concretizzare la volontà politica ripetutamente espressa dal ministro attraverso la scelta di attesa da me assunta e condivisa dal ministro Salvini».
Poteva ancora intervenire Malta, come sostengono nel secondo interrogatorio, gli ufficiali coinvolti? Secondo il Tribunale di Catania no. «Nel momento in cui la Centrale di Roma ha richiesto il rilascio di Pos alle ore 22:30 del 17 agosto, le comunicazioni con Malta si erano interrotte da circa 24 ore e dunque era chiaro che Malta non avrebbe più assunto alcuna responsabilità». Secondo i giudici etnei, «la situazione di incertezza, che poteva all’inizio giustificare un attendismo, deve ritenersi con certezza venuta meno quando il comandante della Diciotti, che fino a quel momento era rimasto in attesa di decisioni a largo di Lampedusa, riceveva alle ore 19:50 del 19 agosto dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto, l’ordine di dirigersi verso Pozzallo e poi verso Catania. È questo, infatti, il momento in cui l’autorità marittima italiana, preso atto del silenzio definitivo di Malta, ha abbandonato di fatto ogni questione sull’individuazione dello Stato responsabile, così radicando in capo al governo italiano la primaria responsabilità dell”evento Sar».
LA FINALITA’ POLITICA
Escluse le ragioni tecniche (la macchina dell’accoglienza al porto era pronta), il motivo dell’attesa è invece da ricondurre alla volontà politica, quella di portare all’attenzione dell’Unione Europa il caso Diciotti per chiedere ai partner europei una comune assunzione di responsabilità del problema della gestione dei flussi migratori.
Il Tribunale precisa: «Occorre da ultimo valutare se il carattere politico della decisione presa possa qualificare quest’ultima come atto politico in senso stretto. Se, infatti, si è in presenza di un atto politico, ciò comporta quale ineludibile conseguenza l’insindacabilità del suo operato da parte del giudice penale; se, invece, si è in presenza di un atto dettato da ragioni politiche ma non qualificabile come atto politico in senso stretto, allora si pone il diverso problema della ripartizione di competenze tra autorità giudiziaria e Parlamento».
E i giudici non hanno dubbi a escludere che si possa definire un atto politico, perché quest’ultimo, «quale espressione della funzione di indirizzo politico dello Stato, rimane tale fino a quando afferisce a questioni di carattere generale che non presentino un’immediata e diretta capacità lesiva nei confronti delle sfere soggettive individuali». Cosa che invece è successa con i migranti della Diciotti, privati della loro libertà personale, come riconosciuto anche dal garante dei detenuti intervenuto in quei giorni.
«IO DIFENDO I CONFINI». LA REPLICA DI SALVINI
Ieri il ministro dell’Interno, in una diretta Facebook, ha risposto alle accuse, sostenendo tra l’altro che «se uno fa il ministro, applica la legge. Articolo 52 della Costituzione: la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Figuriamoci se uno è ministro». Ma già nelle 52 pagine, il Tribunale risponde anche su questo punto. Salvini, in quanto responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, potrebbe adempiere a un dovere (chiudere i porti) imponendo un fatto lesivo (alla libertà dei migranti) perché valutato necessario per l’interesse generale (la sicurezza dell’Italia)? «I 177 migranti – dice il Tribunale – non potevano rappresentare un problema di ordine pubblico, perché non c’erano persone segnalate come pericolose».
LA DECISIONE DEL SENATO
La parola spetta adesso al Senato, in cui Salvini è stato eletto, che può negare l’autorizzazione a procedere solo qualora «reputi con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo».
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