NellAccordo di programma per Gela, la proposta di riconversione e di compensazione sulla raffineria presentata da Eni, particolare importanza merita larticolo 4, denominato misure di compensazione connesse al Programma di Sviluppo. Già durante il sit-in in aula consiliare del 16 ottobre gli operai dellindotto avevano efficacemente sintetizzato che «col Ciliegino e con la nave greca si vuole svendere il territorio». Di che cosa si tratta? Cosè ad esempio il Ciliegino che si presta a facili battute? Doveva essere il più grande parco fotovoltaico dEuropa, tra i territori di Butera, Licata e Gela. Unalternativa concreta alla raffineria di Gela: previsti almeno 800 posti di lavoro e con produzione di energia solare. Era stata inaugurato in pompa magna a giugno 2013, con tanto di buffet a base di ostriche. E rimasto lennesimo progetto incompiuto siciliano, in cui ad essere effettuati sono stati solamente gli espropri a danno dei piccoli proprietari terrieri.
Cera la pubblica utilità, impossibile rifiutare. Mentre in estate leconomia gelese colava a picco il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta ha unidea. La confessa ad agosto al giornalista Giuseppe DOnchia nel programma 10domande10. Perché non costringere lEni a farsi carico di quel che rischia di essere una fallimento della propria giunta? Al punto 4.1 della bozza di accordo la risposta ufficiale dellEni, finora taciuta. Si legge che «la Regione Siciliana, nellambito degli interventi per lo sviluppo sostenibile del territorio, ha individuato un programma di sostegno alla realizzazione di progetti che prevedono la coltivazione di prodotto ortofrutticoli in serre alimentate da pannelli fotovoltaici». E che «Eni intende contribuire, direttamente o attraverso sue società controllate, al Programma di Sostegno».
Anche qui però i vertici del cane a sei zampe ritengono superfluo indicare delle cifre. Cosa che invece fanno poco dopo al punto 4.2., in merito alla «convenzione volta a contribuire alla realizzazione di uno spazio espositivo allinterno del Museo Regionale Eschilo di Gela, destinato ad ospitare il reperto archeologico di nave del IV secolo A.C., uno dei ritrovamenti di archeologia marina più importanti dEuropa». Un importo non superiore ai 100mila euro che consiste in pratica nel posizionamento di qualche condizionatore e di due porte per una nave che comunque sarà ospitata provvisoriamente in quei locali, in attesa che venga creato il tanto atteso Museo del Mare (e che vengano sbloccati i fondi europei). Il sindaco Angelo Fasulo ha definito la parte compensativa «quasi offensiva».
A togliere il «quasi» non soffenderebbe nessuno. Specie se si analizza il resto dellaccordo di marca Eni. Al punto 5, chiamato impegni per la salvaguardia e lo sviluppo delloccupazione, la multinazionale energetica si impegna «sulla base del crono programma» a collocare in mobilità un numero, ovviamente imprecisato, di lavoratori. Inoltre chiede la deroga del contratto collettivo nazionale di lavoro e degli accordi sindacali vigenti. Per riscontrare qualche cenno ai lavoratori dellindotto bisogna attendere pagina 12, dove si ci impegna sostanzialmente alla «creazione di una banca dati del personale delle ditte appaltatrici».
Il sostanziale disinteresse nei confronti delle sorti dellindotto viene ulteriormente confermato al punto 5.4. Dove si scarica alle «parti pubbliche firmatarie dellAccordo stesso» il destino di più di un migliaio di lavoratori attraverso «lattivazione di ammortizzatori sociali in deroga, qualora necessari, al fine di gestire eventuali problematiche occupazionali». Se lo gestisca lo Stato, insomma, il dramma sociale. Di fronte una proposta del genere allora la successiva «contestuale rinuncia da parte della raffineria di Gela alla concessione Dirillo», per «consentire la piena restituzione agli usi civili della cittadinanza di Gela lacqua vergine della diga del Dirillo», appare davvero un palliativo. Così come il Tavolo di Coordinamento tra gli enti firmatari dellaccordo.
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