Peppino Impastato, aperto casolare dove fu ucciso «Non ha senso per pochi giorni, serve l’esproprio»

«Il problema non lo risolvi aprendo il casolare per quattro giorni, il punto è espropriarlo e fare un progetto di utilità pubblica. È mai possibile che la Regione non sia in grado di fare una valutazione catastale?». Lo dice con un po’ di amaro in bocca Giovanni Impastato, fratello di Peppino. Il 9 maggio saranno 39 anni dalla sua morte, avvenuta proprio lì, in quel casolare rurale che oggi versa in stato di abbandono in contrada Feudo a Cinisi. È la prima volta però che quel luogo, ormai meta di pellegrinaggio, viene aperto al pubblico in occasione della ricorrenza. A permetterlo è un accordo scritto, firmato pochi giorni fa dall’assessore regionale ai Beni culturali Carlo Vermiglio, dal dirigente del dipartimento Gaetano Pennino, dal sindaco di Cinisi Giangiacomo Palazzolo e dalla proprietaria della struttura, Luisa Venuti

Quest’anno, quindi, nessuno sarà costretto a forzare il piccolo cancello che delimita la proprietà, «nessuna intrusione», per dirla con Giuseppe Venuti, padre della proprietaria e che di fatto è colui che ha sempre gestito in prima persona il casolare. Solo l’anno scorso la struttura risultava affidata, tramite un comodato d’uso gratuito, a due associazioni, l’Aglaia Onlus e Libera Cinisi, quest’ultima estranea all’organizzazione di Don Ciotti e rappresentata dal nipote del proprietario, Manfredi Vitello, presidente della Pro Loco di Cinisi. L’obiettivo è quello di trasformarlo in un centro per la legalità attraverso un crowdfunding lanciato in rete ma ad oggi mai partito. L’iniziativa, però, è risultata del tutto slegata dalla famiglia Impastato e dalle associazioni che da sempre si battono per la memoria dell’attivista ucciso dalla mafia. Così come alcuni dei militanti chiamati a gestire il bene hanno apertamente rivelato a MeridioNews di non nutrire particolare stima per la figura di Peppino Impastato e che, se il casolare gli appartenesse, ci vivrebbero. 

Cosa è cambiato, quindi, in un anno, per convincere Venuti ad aprire volontariamente il cancello della sua proprietà? «Credo poco – torna a dire Giovanni – Ringrazio la Regione e chi si è adoperata per questo accordo, ma intanto il casolare è ridotto male, non è più agibile. Ora siamo noi a dire di chiuderlo, perché il proprietario, malgrado abbia le possibilità economiche, quel casolare lo sta vergognosamente facendo perdere». Difficile conoscere, tuttavia, i reali motivi che abbiano portato a questa scelta, dal momento che Venuti preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione.

Più ottimista il sindaco Palazzolo, anche lui firmatario dell’accordo: «È sicuramente un piccolo passo in avanti nei rapporti coi signori Venuti e verso la fruibilità di questo bene da parte della collettività, ma sempre di un piccolo passo parliamo, il grosso si farà solo ed esclusivamente quando qualche ente che ne ha la possibilità troverà la volontà di acquisire il casolare». Secondo il primo cittadino la questione è infatti molto semplice: «È chiaro che si tratta di una proprietà privata e va pagata – spiega – Qui penso che il problema sia rappresentato dalla Regione in primo luogo e dalla persona del presidente Rosario Crocetta in secondo luogo, che in questi cinque anni non si è adoperato per mettere delle risorse finalizzate all’acquisizione del casolare. Venuti può chiedere cento, duecento o trecento, ma se si avvia la procedura espropriativa sarà un perito a fare la valutazione del bene».

Esiste una prassi ben precisa in casi come questo. Eppure la Regione non l’ha mai messa in atto. Anche se durante l’amministrazione di Raffaele Lombardo nel 2011, l’allora assessore al Bilancio Gaetano Armao pare ci abbia provato, offrendo 120mila euro a Venuti. Accordo che secondo il proprietario non si sarebbe realizzato perché mai concretamente palesato. Del tutto sfumato, invece, a detta dell’ex assessore, perché da parte di Venuti non c’era la volontà di vendere. «Armao doveva comportarsi da amministratore e non come un privato che fa un’offerta – precisa il sindaco – L’amministratore emette degli atti e il primo di questi è la procedura espropriativa, seguita dal vincolare le somme di denaro. Non si deve scendere a nessun accordo contrattuale con la controparte nell’acquisizione, quindi è inutile che lui parli di un’offerta, è stato un chiacchiericcio, che è fuori dalla serietà dei ragionamenti che si devono fare su questo casolare».

Il punto di partenza per smuovere la situazione, perciò, resta la valutazione di un perito. «Non penso che una Regione come la Sicilia, malgrado le sue difficoltà, non abbia delle piccole risorse per consentire a tutta Italia di usufruire di questo casolare – continua il primo cittadino – Non c’è stata mai la volontà concreta di acquisire il bene. Cinque anni fa in campagna elettorale Crocetta e Armao dissero che avevano 100mila euro pronti, ma vennero a prendere in giro, soldi non se ne sono visti mai». Perché non si fa carico di tutto quanto il Comune di Cinisi? «La verità? Nel mio intimo sto cominciando a pensarci, sarebbe uno schiaffo per le istituzioni – rivela – Se un piccolo Comune come Cinisi, che ha un suo bilancio limitato e le sue difficoltà nella spesa corrente e nel garantire i beni di prima necessità a cento famiglie povere, riuscisse a mettere da parte 100-150mila euro, sarebbe una vergogna per la Regione e lo Stato italiano».

Silvia Buffa

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