“Peccato che i più giovani non possano vederlo”

Matteo Rovere è un giovane regista, con una breve ma interessante carriera alle spalle. Inizia il suo percorso nel cinema a diciotto anni e già con il suo primo cortometraggio, Lexotan, vince nel 2002 il “Linea d’Ombra Salerno Film Festival”. È autore, insieme a Silvio Muccino, della sceneggiatura del lungometraggio A Modo Mio e realizza i cortometraggi Unconventional Toys e Sulla Riva del Lago, vincitori di numerosi premi e riconoscimenti. Nel 2005 si dedica al documentario e al videoclip, collaborando con artisti come i Tiromancino. Un gioco da ragazze è il suo primo lungometraggio, in concorso al Festival del Cinema di Roma.
 
Com’è stata l’accoglienza nella capitale?
“Direi che è stata ottima da un punto di vista di pubblico; infatti, questo è stato uno dei pochi film che ha avuto sempre il tutto esaurito, non solo alla presentazione ma anche alle due repliche successive. La critica al contrario non è stata unanime: abbiamo ricevuto buone valutazioni da parte dei più giovani ed aperti alla sperimentazione, mentre sono stati più severi e freddi i critici classici abituati ad un cinema più tradizionale. Sapevamo comunque già di realizzare un film complicato, molto forte e intenso che a molti, soprattutto adulti, ha dato fastidio per come racconta la società degli adolescenti di oggi, in modo per nulla consolatorio e buonista”.
 
Tanto forte da beccarsi il divieto a 18 anni da parte della commissione Censura del Ministero…
“Già, la censura pochi giorni prima del festival lo ha vietato ai minorenni, anche se noi ci aspettavamo al massimo un divieto al di sotto dei 14. La motivazione addotta è stata che il film era talmente realistico che i giovani, a loro avviso, non riuscirebbero a prendere le distanze da ciò che viene raccontato. Da un lato può essere inteso come un complimento, ma dall’altro ci preclude tante vie. Il divieto comporta infatti il taglio del trailer dalle sale, l’estromissione dalla televisione, insomma dai mezzi più canonici. Noi abbiamo realizzato un videoclip che andrà in onda su MTV e poi contiamo sulla carta stampata e Internet”.
 
Dunque diventa anche un problema commerciale…
“Be’, non solo. Essenzialmente diventa un discorso di comunicazione, perché non riesce a raggiungere una grande fetta di target a cui il film è rivolto. Non sono d’accordo con la censura perché non credo che sia un film a dover insegnare chi bisogna essere e come comportarsi: l’educazione dovrebbe partire dalle famiglie e dalla società”.

Perciò la pellicola è rivolta ai ragazzi di oggi?
“Sì, e mi sembra paradossale che una storia per giovani non possa essere vista dai diretti interessati. Per lo meno in questi primi giorni di proiezioni abbiamo avuto la soddisfazione di stimolare la reazione da parte dei genitori, che invece hanno potuto guardare il film e ne sono rimasti entusiasti. Il tema ha suscitato un notevole interesse in loro”.
 
Per quale motivo in particolare, secondo te?
“Perché il film vuole raccontare una parte della società, ovviamente senza generalizzare, a quei genitori che pensano di conoscere la loro prole e la società che essi hanno costruito per loro, quella società in cui sono immersi e di cui i figli ne diventano irrimediabilmente vittime”.
 
Protagonista indiscussa del film è la la diabolica Elena, interpretata da Chiara Chiti.
 
Chiara, ci racconti Elena e il suo mondo?
“Il mio personaggio è estremamente negativo. Elena è la leader di un gruppetto di ragazze che raccontano il fenomeno del bullismo, un problema diffuso oggi a macchia d’olio, sebbene sottovalutato dalla Commissione Censura. Un bullismo al femminile, che ci dimostra come la violenza e la cattiveria stiano varcando i confini del sesso. Si tratta di ragazze che pur di essere al centro dell’attenzione, venir considerate forti dai maschi, adottano questi modi e atteggiamenti forti, crudeli, meschini. Ma forse perché hanno un vuoto dentro”.
 
La commissione Censura l’ha definita vincente, tu che ne pensi?
“È vero che Elena non si redime, che tutti stanno sotto le sue regole, perché lei riesce a creare intorno a sé uno stato di terrore sia ad adulti che ai compagni. È razionale, ragiona per obiettivi, fredda, ma in lei non c’è nessuna evoluzione, rimane tale e quale era all’inizio; quello che ottiene è solo un potere fittizio, illusorio. Le manca tutto: i sentimenti reali, le emozioni, il senso vero dell’amicizia. È e resta una persona vuota. Per questo motivo io credo che in realtà sia una perdente e che il pericolo di emulazione non sussista. La sua cattiveria vince perché non viene mai punita dalle istituzioni che sembrano acconsentire a questo suo modo di fare”.
 
Che ruolo ha la scuola in questa rappresentazione esasperata e drammatica della società?
“La figura stessa del professore è negativa: eccessivamente democratico, idealista. Lui sbaglia, perché è incoerente, si fa preda dell’attrazione sessuale. A mio parere, forse i ragazzi di oggi si stanno prendendo troppo spazio, anche perché i docenti glielo lasciano fare. È cronaca ricorrente quella del prof preso in giro, della giovane professoressa picchiata e beffeggiata. Basta guardare qualche video su youtube. Elena invece è caratterizzata fino alla fine da una coerenza malata, caratteristica di cui ovviamente non ci si può vantare. È disumana: all’anteprima di Napoli mi hanno detto “sembri satana!”
 
Con questo volto angelico come sei riuscita a impersonare il diavolo? Ti sei ispirata a qualche modello o esperienza di vita?
“A me non è mai capitato di incontrare gente del genere, ma adesso quando vado in discoteca noto che quelle che si vendono sul cubo e guardano ammiccanti il cinquantenne, perché dentro hanno qualcosa di perverso, sono proprio le più piccole. Ma già vedo la differenza tra la mia generazione ed i giovani di oggi: io a quindici anni ero ingenua, una bambina, mentre le ragazzine al giorno d’oggi sono molto più sveglie e scaltre, sanno come funziona tutto, addirittura vendono la droga alle medie. C’è stato un cambio generazionale molto forte”.
 
Nadir Caselli, che nel film interpreta Alice, compagna di “giochi” di Elisa, ha invece ricordi di esperienze simili a quelle raccontate dal film.
“Tempo fa ho avuto una brutta esperienza con questa parte di società che esiste, che è presente, che non va sottovalutata e tanto meno vietata ai ragazzi che entrano in contatto con queste personalità forti. I passati episodi li ho ritirati un po’ fuori quando ho letto il copione, entrando nella parte dei personaggi. Lì ho capito che si tratta di menti malate, di disagiati della società”.
 
Lo ritieni un film denuncia?
“Questo film dovrebbe fare aprire gli occhi agli adulti e agli adolescenti che girano intorno a queste persone. Non tutti sono entrati in contatto, fortunatamente, con questa gente ma è giusto renderli consapevoli della loro esistenza. Per cui questo è assolutamente un film di denuncia e per questo diventa assurdo il divieto. È più giusto metterli in guardia”.

Foto di Benedetta Motta

AGGIORNAMENTO: La commissione ministeriale ha abbassato il divieto di visione da 18 a 14 anni (la Redazione)


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