Dopo le votazioni per il nuovo presidente della Repubblica, onorevoli e senatori rientrano a casa. All'aeroporto romano di Fiumicino, tra gli altri, c'è anche Giuseppe Berretta, onorevole Pd di rientro nel capoluogo etneo. Provato ma non sorpreso, parla del futuro del partito, del confronto possibile con il Pdl e di quello ormai difficile con il M5s. Uno scenario complesso anche alle pendici dell'Etna, in vista delle comunali che vedono finora candidato al suo posto Enzo Bianco
Pd, turbolenze da Roma a Catania Berretta: «Il vero tabù è non governare»
Le votazioni nella capitale per il nuovo presidente della Repubblica italiana – che portano alla rielezione di Giorgio Napolitano – si concludono intorno alle 18. Giusto in tempo per permettere a senatori e onorevoli il rientro a casa. L’aeroporto di Roma Fiumicino, in attesa dei voli della sera, si trasforma in una delle più frequentate passerelle politiche della città. Tra questi c’è anche l’onorevole Pd Giuseppe Berretta, in rientro a Catania. Sulla scaletta che lo porta all’aereo, controlla per l’ultima volta – prima di spegnerlo – il suo cellulare. La pagina Facebook del deputato segnala un numero di messaggi a tre cifre: la maggior parte insulti post-votazione. Mentre risponde alle domande di CTzen, Berretta appare stanco ma non sorpreso dal clima concitato di questi giorni all’interno del suo partito. Che nel capoluogo etneo assume un doppio significato in vista delle elezioni amministrative in cui il Pd ha scelto senza primarie la candidatura di Enzo Bianco al posto proprio di quella di Berretta.
Onorevole Berretta, quello che è successo a Roma cambia gli scenari anche a Catania in vista delle amministrative?
«Certamente si apre una fase complicata e turbolenta per il Partito democratico che esce da questa vicenda decapitato e comunque in una condizione di forte fibrillazione interna. Questo crea problemi dappertutto e di certo non aiuta in una fase elettorale».
Ad oggi può dire di stare pensando a rimettere in campo la sua candidatura a sindaco di Catania?
«Ho sentito che oggi Enzo Bianco ha presentato ufficialmente la sua candidatura. Non sono andato perché ero a Roma e magari non sarei andato comunque, ma ormai una scelta è stata fatta e io posso dire che darò tutto il mio appoggio alla lista del partito».
Lei crede che, da qui a giugno, esisterà una lista unitaria del Pd da presentare alle amministrative etnee?
«Il Partito democratico è un progetto che rimane assolutamente integro. Il problema adesso è la piattaforma politica sulla quale si costruisce questo progetto. Credo sia arrivato il momento di affrontare alcuni nodi che in questi anni sono stati lasciati irrisolti e definire un’identità più chiara di questo partito. Di sinistra. Chi ci sta, ci sta».
Si arriverà secondo lei a una spaccatura? E, in quel caso, chi se ne andrà: voi o i renziani?
«Non sono certo che ci sarà una spaccatura. Ma credo che il congresso affronterà un maniera chiara il tema dell’identità. Renzi farà la sua battaglia congressuale. Esporrà le sue tesi e ci metteremo a confronto».
In tutta Italia stasera gli elettori del Movimento 5 stelle sono davanti alla prefetture e a Montecitorio, parlano di golpe. Lei come la vede?
«A me quello che preoccupa molto è questa idea che, nonostante le istituzioni democratiche funzionino e si voti, ci sia qualcuno che gridi al golpe. Bisognerebbe apprezzare che si riparta dopo una situazione di stallo, quella sì preoccupante. Io credo che un governo serva, per fare una serie di politiche che diano risposte ai problemi reali dei cittadini».
Non è quindi un tabù lavorare con il Pdl?
«Il tabù è non fare le cose, non dare risposte. Altrimenti alimentiamo l’antipolitica. Questo significa avere un governo, per poco tempo, e poi inevitabilmente ritornare alle elezioni. Realisticamente credo serva un anno».
E invece il confronto con il Movimento 5 stelle? Lei credeva nel modello Sicilia di collaborazione M5s-Pd?
«Io ci ho creduto molto ma devo dire che, dopo il confronto nazionale e la vicenda della presidenza della repubblica, credo che questa possibilità di sperimentare altrove quello che si sta facendo in Sicilia sia più complicato. Poi c’è una questione di rispetto delle istituzioni, come la marcia su Roma e non applaudire il nuovo presidente della Repubblica. Senza questo è difficile ripristinare un rapporto».