Nel territorio di Motta Sant'Anastasia si trova un «patrimonio straordinario», non valorizzato dalle amministrazioni così come dai cittadini. Lo spiega Giuseppe Sperlinga, biospeleologo e docente dell'università di Catania, che da anni organizza escursioni tra la valle dei Sieli e la rarissima formazione vulcanica, il neck, sulla quale è stato costruito il dongione normanno. Guarda le foto
Patrimonio naturalistico tra spazzatura e discariche «I cittadini di Motta non sanno che fortuna hanno»
Un divano capovolto, un cestello di una lavatrice, sacchetti della spazzatura, qualche cartone reso poltiglia dalla pioggia. Una piccola micro-discarica ai piedi di una rarissima formazione basaltica vecchia di 550mila anni. Accade nel Catanese, a Motta Sant’Anastasia, nella zona alla base del cosiddetto neck. A fotografare lo stato di abbandono nel quale versa la piazzola sulla quale svetta la formazione lavica è Giuseppe Sperlinga, biospeleologo docente dell’università di Catania e presidente dell’associazione Stelle e ambiente. «Cambiano le amministrazioni, i sindaci, i consigli e i consiglieri; ma in maniera gattopardiana, tutto rimane com’è», sospira.
«A Motta si trova un patrimonio naturalistico straordinario, ma i mottesi non sanno che fortuna hanno – spiega l’esperto – Spesso devio dalla strada che devo fare per passare a vedere il neck, una singolarità geo-vulcanologica presente in pochissimi luoghi nel mondo: non c’è una volta che non trovi spazzatura», afferma. «So che il Comune manda degli operai per pulire, ma bisogna fare qualcosa». E continua: «Mi occupo di divulgazione scientifica da anni, portando con me turisti e scolaresche. Ho condotto centinaia di visitatori a vedere il neck, è una tappa obbligata».
«Alla base non c’è nemmeno un cartello, un minimo di spiegazione. Lo spiazzo andrebbe segnalato». Qualche anno fa, ricorda il biospeleologo, fu installato un grande cartello che descrive le caratteristiche del neck a cura degli studenti della scuola media Gabriele D’Annunzio. «Non c’è cura nemmeno di quello – sbotta Sperlinga – è stato ricoperto da scritte con vernice spray». E poi c’è un elemento che disturba la visione dal basso della formazione lavica: «Subito dopo la morte dei giudici Falcone e Borsellino si piantarono in giro degli alberi di carrubo. Due vennero messi lì dall’allora preside della scuola – Giuseppe Adernò, ndr -. Non considerarono che crescendo avrebbero sviluppato le chiome in larghezza, adombrando la visuale», complice la mancanza di una potatura periodica.
Secondo il docente la soluzione potrebbe essere installare «telecamere con pannelli solari: visto che non si riesce a educare, bisogna mettere un deterrente». E il presidente dell’associazione avanza anche una proposta: «Proporrò al sindaco un progetto per valorizzare il neck con un costo minimo, meno dei 45mila euro spesi per gli addobbi natalizi». Il piano prevede l’installazione di pannelli con le informazioni naturalistiche all’interno di una piccola capannina in legno, una soluzione già adottata a Catania, per la Timpa di Leucatia. «Se il sindaco è d’accordo e riesce a trovare un migliaio di euro per la struttura e la stampa del pannello, siamo disponibili a titolo gratuito a impegnarci per le competenze scientifiche. Ma poi si devono garantire pulizia e sorveglianza», precisa.
Da un problema con una semplice risposta, a un’altra risorsa naturale per la quale i cittadini da anni si battono: la valle del Sieli, dove si trova la discarica di contrada Tiritì e contrada Valanghe d’inverno. «Me ne occupo da dodici anni con il collega Salvatore Arcidiacono – racconta Giuseppe Sperlinga con una punta di amarezza – Abbiamo sempre sostenuto che questa valle andrebbe valorizzata per le sue caratteristiche ambientali e geologiche». La zona, circa mille ettari, ha per confini la periferia occidentale di Catania dal quartiere Monte Po, per toccare la valle del fiume Finaita vicino l’acquapark Etnaland, estendendosi lungo la tangenziale di Catania e la strada Incarrozza dove ha uno dei suoi ingressi l’impianto di proprietà della Oikos spa. A dominare l’intero paesaggio, il dongione normanno costruito in cima al neck.
«La valle è formata da colline argillose del quaternario attraversate da un fiume, Sieli, che proviene dall’Etna e confluisce nel Simeto. Il nome odierno Valanghe d’inverno è in realtà la storpiatura di calanche, incisioni sui fianchi delle colline causate dalle piogge». Secondo un’antichissima leggenda, quando Plutone, dio degli inferi, solcò il territorio, le colline si ritirarono su se stesse creando gli enormi solchi. Un danno minore rispetto a quello compiuto dalla discarica che dal 1998 insiste sulla zona. «Hanno azzannato, massacrato il territorio. Il misfatto si è aggravato ulteriormente quando si è autorizzato l’allargamento della discarica di contrada Tiritì in quella Valanghe d’inverno».
Ma una possibilità di salvezza, secondo l’esperto, c’è anche per la valle dei Sieli. A elaborarla uno studente del dipartimento di Scienze ambientali dell’università di Catania, Francesco Di Grazia. «Nella sua tesi di laurea, dopo lo studio del territorio, elaborerà una serie di itinerari turistici che poi verranno sottoposti agli amministratori». Il bacino turistico potenzialmente interessato è notevole, secondo Sperlinga: «Il neck, i calanchi, la valle… Fa tutto parte di un patrimonio che potrebbe essere destinato alla fruizione di cittadini e visitatori».