«Ciao nonno, grazie per i tanti ricordi vissuti insieme». C’è un biglietto attaccato con lo scotch a un mazzo di fiori, l’unica nota di colore in mezzo al nero fuliggine. Il cancello, le mura, persino le pareti della casa, una palazzina di diversi piani, sono tutte annerite. Dentro si riescono a sbirciare i segni della […]
Palermo, la lenta rinascita dopo gli incendi. Il reportage dal fronte del fuoco
«Ciao nonno, grazie per i tanti ricordi vissuti insieme». C’è un biglietto attaccato con lo scotch a un mazzo di fiori, l’unica nota di colore in mezzo al nero fuliggine. Il cancello, le mura, persino le pareti della casa, una palazzina di diversi piani, sono tutte annerite. Dentro si riescono a sbirciare i segni della distruzione: vasi rotti, oggetti consumati dalle fiamme e una nicchia che, fino a qualche giorno fa, doveva ospitare una Madonna o un santo, portato in salvo, forse appena in tempo. Quei fiori sul muro sono una delle tante fotografie di un’emergenza incendi che mai come quest’anno ha devastato Palermo. Si trovano in via Erice, a Borgo Nuovo. Lì, mentre il fuoco avvolgeva la montagna, si stava svolgendo una veglia funebre. Poi sono arrivate le fiamme, che spinte dallo Scirocco hanno saltato la strada e raggiunto la casa. I congiunti della salma hanno tentato di resistere, poi si sono dati alla fuga, lasciando lì il corpo del loro caro, all’interno della bara, mentre quella che era stata la sua casa andava a fuoco.
In tanti hanno perso molto in via Erice. «Erano le undici e mezza del mattino – racconta a MeridioNews Antonino, 21 anni – I carabinieri hanno bussato alla nostra porta per chiederci di uscire. Quando siamo tornati a casa, alle otto di sera, non avevamo acqua, né corrente elettrica, né gas. Ma almeno avevamo ancora la casa». E poi la strada, lastricata di resti di auto andate in fumo e di terreni, recinti, casupole, box, ridotti a mucchi di cenere. «Sono molto triste – conclude Antonino – So che tanti animali sono morti bruciati vivi: galline, pecore, cavalli. È terribile». Poco distante, una famiglia sta cercando di liberare il proprio terreno completamente devastato. «Abbiamo perso due mezzi da lavoro e un capannone», dice il proprietario, con le mani e il volto anneriti dalla cenere, mentre intorno alcuni cumuli ancora fumano. «Siamo in questo terreno da 50, 60 anni – spiega la moglie – I bambini sono molto legati a questo posto». Però il loro cavallo si è salvato. «Lo abbiamo fatto scappare, libero – dicono – poi, il giorno dopo, l’abbiamo recuperato».
Salendo ancora per la montagna che ospita la discarica di Bellolampo, in un bar di via Castellana alta un ragazzo dietro al bancone racconta i giorni del fuoco: «Qui dietro è bruciata una villetta, qui il bosco, lì gli alberi». Salendo ancora il paesaggio diventa spettrale, con pali della linea telefonica ridotti a un mozzicone fumante, alberi scheletriti e sottobosco cancellato, mentre nelle case le persone tentano di ritrovare a fatica una parvenza di normalità. E poi c’è la discarica. Bellolampo, dove ancora il fuoco resiste. L’incendio lì si è sviluppato dalla quarta vasca, ma i danni sono maggiori di quello che sembra: anche l’impianto che produce biogas dai rifiuti è stato aggredito, non ci sono particolari danni alla struttura gestita da Asja ambiente, ma le tubature sono andate e pare che anche tutte le riserve di biogas accumulato siano perse, con l’azienda già al lavoro per ritrovare operatività.
Spostandosi più a Ovest, verso Monte Grifone, altro grande fronte del fuoco, la vittima illustre è la chiesa di Santa Maria di Gesù. Qui è il parroco, fra Carmelo, a raccontare di quella notte. «Il fuoco era sulla montagna e stava scendendo verso la mura del cimitero – dice a MeridioNews – Abbiamo tentato di arginarlo come potevamo, con quello che avevamo. Quando sembrava tutto finito, sentivamo un forte odore provenire dalla chiesa. Aperta la porta, siamo stati travolti da una nuvola di fumo. Tutto bruciava. Abbiamo tentato di salvare quello che potevamo. È strano, però, perché – continua – il convento e il cimitero sono in direzione della montagna, da dove proveniva il fuoco, la chiesa è dall’altra parte». Dopo i rilievi dei vigili del fuoco e delle autorità, che hanno posto sotto sequestro la metà dell’edificio con il soffitto crollato, i frati hanno una piccola speranza da cui ripartire: la zona dell’altare e l’abside sono state dichiarate sicure e non a rischio crolli. «Questa chiesa conservava il corpo intatto di San Benedetto il Moro – continua fra Carmelo – Abbiamo recuperato solo diverse ossa. Ci stavamo preparando per il 2024, quando ci sarebbe stato il quinto centenario dalla nascita del santo». Adesso ci si rimbocca le maniche per ricostruire. «Non so se può essere un segnale – conclude il parroco – Se succede come nel caso di padre Pio, che è stato osannato più dopo che è morto di quando era in vita. Ma stiamo ricevendo tanta solidarietà e speriamo di riportare questo luogo a essere quello che era». I frati, che nel frattempo hanno chiesto aiuto con una raccolta fondi online, lavorano senza sosta nella speranza di recuperare quello che resta del punto di aggregazione principale di un’intera borgata.
Di borgata in borgata, dalla parte opposta del golfo, a guardare monte Grifone, c’è poi pizzo Sella, la montagna che sovrasta Mondello, dove nel fine settimana la gente è tornata ad affollare le spiagge, seppure con un panorama totalmente cambiato. «L’anima dei palermitani è questa – dice una bagnante – tra due settimane tutti si saranno già dimenticati degli incendi». Su pizzo Sella sembra di stare su Marte o sul set di un film postapocalittico. La montagna è nera. Le case sono sempre lì, al loro posto, ma man mano che ci si avvicina si vedono tracce nere del fuoco uscito da finestre e porte. Qui si trova il rifugio Ada, dove Rosi Anzalone ha vissuto attimi di paura quando il fuoco ha raggiunto le gabbie che ospitavano 44 gatti e otto cani. «La gente scendeva a piedi lungo la strada – racconta – alle auto non era più permesso di salire. Tre automobili nel terreno accanto sono esplose. Ho pensato subito agli animali e ho avuto paura. Mio marito – continua – aveva già trasportato una parte di loro quando ci siamo accorti che avevamo finito gabbie e trasportini. Abbiamo fatto un appello online e, dopo un po’, l’Enpa ci ha inviato un volontario con delle altre gabbie. Poi sono arrivati i carabinieri, che erano venuti per farci evacuare, ma si sono messi a dare una mano, prendendosi in cambio graffi e morsi. Per fortuna siamo riusciti a mettere in salvo tutti. Solo una gatta, nella confusione, è riuscita a scappare. La stiamo ancora cercando».
Mentre Rosi parla, mostra i tubi dell’impianto idrico e di quello elettrico completamente sciolti dalle fiamme. Da una parte sono accatastati i resti delle cucce, dei tetti, delle coperte. Dall’altra ci sono le gabbie, riparate a tempo record, che già sono tornate ad accogliere i primi superstiti. «Abbiamo costruito questo rifugio con tanti sacrifici e tanta fatica – dice ancora – Non so se avremo la forza, anche economica, per riparare tutto. Le cucce, gli impianti, tutto è andato bruciato. Sarà dura. In particolare, fa male sapere che dietro tutto questo c’è la mano dell’uomo». Anche nel caso del rifugio Ada è stata aperta online una raccolta fondi per la ricostruzione. E queste sono solo alcune delle storie dei giorni del caldo record e degli incendi che hanno sconvolto Palermo, lasciando dietro di loro cenere e distruzione. Persino diossina, come quella sprigionata dal fuoco di Bellolampo e che ha invaso la zona di Inserra, dove la splendida pineta, una delle meglio tenuta della città, è ridotta a una triste schiera di scheletri anneriti. Qui, come a San Martino delle Scale, sono centinaia gli alberi andati perduti per sempre, decine le case bruciate, in un sabato che difficilmente la città potrà dimenticare.