«Puntiamo al 20 per cento» a livello nazionale. È questo l’auspicio di Antonio Tajani, ministro degli Esteri, vicepresidente del consiglio dei ministri del governo Meloni, ma in questa due-giorni palermitana soprattutto segretario di Forza Italia. Una convention nazionale in grande stile, quella che si è tenuta sabato 26 e domenica 27 ottobre a Santa Flavia, in provincia di Palermo; località che negli ultimi mesi è diventata nota per la vicenda del naufragio dello yacht di lusso Bayesian. Al centro del Mediterraneo il titolo della manifestazione, presenti quasi tutte le personalità apicali del partito (che fu) di Berlusconi, per «una manifestazione come non se ne vedevano da tempo», dice una tesserata. Perché quello che è stato un non detto negli ultimi anni di vita del Cavaliere – e che invece dopo la sua morte è diventato prima un detto a mezza bocca e poi a voce udibile – è che con la fine del suo fondatore Forza Italia si sarebbe liquefatta, trangugiata dagli alleati-competitor o idealmente portata nella tomba da Silvio; un po’ per il suo essere ‘prima donna’ anche quando non c’è – e quindi geloso della sua creatura – un po’ perché, secondo la maggior parte, il partito avrebbe perso la sua forza propulsiva. Invece, almeno per ora, pare stia andando diversamente.
Dopotutto Forza Italia è un partito fatto di tante cose: relazioni, rapporti personali, legami stretti e radicati nei territori, che nei tre decenni dalla sua fondazione sono stati alimentati quotidianamente. Tutti elementi, questi, che forse insieme a una sorta di aria nuova – meno compromessa con l’ingombrante figura del passato – hanno contribuito a farlo restare a galla. «Abbiamo perso sfortunatamente il capitano della nave – dice Tajani dal palco, riferendosi a Berlusconi – e l’equipaggio, che era abituato a prendere ordini dal capitano, ha dovuto decidere di non fare affondare la nave e ci siamo riusciti». Il segretario di Forza Italia parla di un lavoro intenso durato un anno e mezzo, fatto «anche per rendere omaggio al capitano della nave, che non avrebbe mai voluto vedere colare a picco la nave». Tajani forse abusa della metafora marittima, ma in effetti al primo voto di respiro nazionale dopo la morte di Berlusconi – cioè le elezioni europee dello scorso giugno – l’imbarcazione Forza Italia ha ottenuto un risultato che forse nel partito non si aspettavano nemmeno le persone più ottimiste: un 9,59 per cento a livello nazionale che per quella forza politica è significato il quarto posto, a pochissimo dal 9,98 per cento del Movimento 5 stelle. Superata di più di mezzo punto percentuale la Lega di Salvini (e non è cosa da poco, se guardiamo a come erano andati i precedenti voti nazionali). In Sicilia, poi, Forza Italia è stato il primo partito (23,73 per cento), aiutato anche dai voti del Movimento per l’autonomia (Mpa), che per quelle elezioni si è speso per Caterina Chinnici. Un anno e mezzo fa l’ex candidata alla presidenza della Regione per il centrosinistra è passata dal Partito democratico a Forza Italia; al netto di tutto, resta molto vicina a Raffaele Lombardo.
Tajani parla di una nave che «non affonderà» e che però non è «neanche a metà del cammino». Un partito che è il «centro di gravità della politica», ha detto il segretario di Forza Italia, semicitando Franco Battiato. Ma nonostante questo clima idilliaco e i grandi abbracci e baci che i vertici di Forza Italia si sono scambiati tra un intervento e l’altro, le cose nel centrodestra regionale e in quello nazionale non vanno propriamente a gonfie vele. Perché se è vero che la calata a Palermo è servita a Tajani per sottolineare un rinvigorimento di Forza Italia rispetto agli ultimi anni, è altrettanto vero che la convention è servita al segretario anche a marcare la distanza con gli alleati a Roma: Fratelli d’Italia e Lega. «Senza di noi il centrodestra non ci sarebbe», dice Tajani, ripetendo un concetto già espresso in passato (cosa fatta anche da Berlusconi prima di lui). Senza Forza Italia – è il messaggio – il governo sarebbe un esecutivo di estrema destra. E ne approfitta per tornare sulla sua proposta di legge sulla cittadinanza ai bambini nati in Italia da coppie di origine straniera o arrivati nel nostro Paese entro il compimento del quinto anno, denominata Ius Italiae. Proposta che – come la precedente e più acerba Ius Scholae – ha fatto storcere decine di bocche nella Lega e ottenuto delle leggerissime e timide aperture nel partito della premier.
Parlando di economia e di legge di bilancio – ma ancora una volta per riaffermare una certa forma di diversità rispetto ai partiti di governo più a destra del suo – Tajani afferma che «senza Forza Italia non avremmo raggiunto gli attuali risultati economici e non ci sarebbe stata una tensione così forte per abbattere la pressione fiscale». Dette tutte queste cose – sulle quali ognuno può pensarla nei modi più svariati – è innegabile che un altro tipo di tensione c’è sia nella maggioranza che sostiene Meloni sia in quella che in Sicilia regge Schifani. Nel primo caso il centrodestra sta assorbendo con non poche difficoltà i colpi arrivati dal caso Sangiuliano-Boccia e dai molti casi sollevati dall’inchiesta della trasmissione di Rai 3 Report, tutti con al centro il neoministro della Cultura, Alessandro Giuli; nel secondo caso gli ostacoli sono legati alle riforme in programma – e non ancora diventate legge – piuttosto che a scandali o a mezzi-gossip. Riforme che in alcuni casi sono state approvate nelle commissioni di competenza e che poi in aula – grazie allo strumento del voto segreto – sono state bocciate da alcuni franchi tiratori della maggioranza: su tutte la Salva-ineleggibili a fine gennaio scorso e la legge sul ritorno delle Province a inizio febbraio. Più di recente, anche se in questo caso non è servito nessun voto segreto, a non essere approvata (per l’ennesima volta) è stata la riforma degli enti locali.
Ma il presidente della Regione non ha voluto che questa due-giorni palermitana fosse il contesto adatto per lasciare spazio ai tormenti, se no avrebbe dovuto tenere conto anche del fatto che sulla variazione di bilancio approvata pochi giorni fa aleggia un countdown molto pressante. È stata piuttosto un’occasione per commuoversi quando ha parlato dell’amico Silvio – «e non mi vergogno, Berlusconi mi manca molto» – per rimbrottare il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, «che apprezzo e stimo», il quale nelle scorse settimane non aveva dato la sua disponibilità a un chiarimento interno alla maggioranza che lo sostiene in Comune. E poi per tirare una staffilata di discreta entità al suo predecessore alla presidenza della Regione, cioè il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci. «In passato – dice Schifani – il tema della siccità non si è mai posto e questo ha portato i governi precedenti a essere un tantino distratti. Oggi ci troviamo dighe distrutte o reti idriche obsolete». Insomma, non proprio parole gentili per quello che è pur sempre un alleato; e non è la prima volta che tra i due ci sono delle scaramucce.
A dirla tutta neanche tra Tajani e Schifani è sempre andato tutto in modo idilliaco, soprattutto quando in gioco c’erano la leadership del partito e gli equilibri tra le correnti. Ma ora sembra tutto diverso e quando a Tajani si chiede se per le Regionali 2027 sarà Schifani il candidato del centrodestra, il segretario di Forza Italia dice: «È ancora molto presto, il presidente ha tante cose da fare». Per poi aggiungere subito: «È ovvio che Schifani sarà il nostro candidato e sarà riconfermato: ha fatto benissimo il presidente della Regione siciliana, non vedo perché non dovrebbe esserlo». E se da una parte Fulvio Martusciello – capogruppo di Forza Italia al Parlamento europeo – parla del «sogno di tornare primo partito in Italia», il segretario Tajani non nasconde un’ambizione: «L’obiettivo del 20 per cento non è irraggiungibile». Ma la manifestazione di Santa Flavia si chiude con un mezzo caso: Tajani annuncia che Gerry Barbagallo, consigliere comunale di Catania eletto con il Pd, è passato a Forza Italia. L’annuncio – fatto su Facebook dal deputato regionale azzurro Nicola D’Agostino – provoca la protesta di Forza Italia catanese, la quale parla di passaggi formali non rispettati e di regole interne bypassate. Infine, quello appena concluso è stato il primo grosso evento di Forza Italia in Sicilia senza Gianfranco Miccichè, che per anni è stato il plenipotenziario di Berlusconi nell’Isola. Lui che per un ventennio ha manovrato i fili dei (pupi) forzisti siciliani e tessuto le trame del partito nella nostra Regione. Da qualche tempo è passato all’Mpa di Raffaele Lombardo, altra realtà nella quale di certo non ci si annoia mai.
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