Siamo finalmente alle battute finali. Tra due giorni si andrà al voto per le elezioni europee e poi si potrà tornare a parlare di politica siciliana in Sicilia. E magari a frequentare l’Assemblea regionale. Una campagna inaspettatamente tirata e combattuta. Merito stavolta del centrosinistra, o meglio, degli amici nemici del fronte di opposizione a Renato […]
Europee, i big del centrodestra latitano e le opposizioni ne approfittano. Iperattivi Conte e Schlein, non pervenuto Tajani
Siamo finalmente alle battute finali. Tra due giorni si andrà al voto per le elezioni europee e poi si potrà tornare a parlare di politica siciliana in Sicilia. E magari a frequentare l’Assemblea regionale. Una campagna inaspettatamente tirata e combattuta. Merito stavolta del centrosinistra, o meglio, degli amici nemici del fronte di opposizione a Renato Schifani: Partito democratico, Movimento 5 stelle e Sud chiama Nord, nella sua multiforme – e multiliste – trasformazione in Libertà hanno macinato chilometri su chilometri. Non che il centrodestra sia stato da meno. Ma a questi livelli, le differenze – seppur piccole – contano.
Anzitutto il centrodestra ha portato avanti fino alla fine la sua ormai epocale tendenza alla bega interna. Solo che mentre finora era riuscito a ricucire tutto in tempo per la presentazione delle liste, questa volta, su tanti fronti, i danni sono stati insanabili. Tra i casi più emblematici c’è quello di Monreale, dove pure avevano il sindaco uscente, ma non con insegne di partito, motivo per cui hanno pensato bene di introdurre un altro candidato sponsorizzato dalla coalizione, perdendo così un deputato forte sul territorio: Marco Intravaia che, insieme ai suoi fedelissimi, ha lasciato il partito di Giorgia Meloni. Certo, Amministrative ed Europee sono campionati distinti e separati. Ma è quanto meno audace pensare che, nonostante ciò, Intravaia possa continuare a racimolare voti per la frangia europea del partito che ha appena lasciato con polemica. La seconda e più sintomatica grana, però, è quella che ha riguardato l’entra ed esci in Forza Italia della Dc di Totò Cuffaro. Democrazia cristiana che si sarebbe accontentata di inserire in lista qualche nome, col placet di Schifani, ma è stata stroncata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Salvo poi rientrare come sostegno per il candidato di Noi moderati.
Altra differenza forte tra fazioni è quella data dal comportamento dei leader. Sarà forse la troppa sicurezza di avere un risultato in tasca, sarà magari qualche imbarazzo incasellato qui e là – dall’indagine che ha coinvolto l’uomo forte della Lega Luca Sammartino ai ritardi nella ancora non iniziata costruzione del ponte sullo Stretto – ma i leader del centrodestra sull’Isola si sono visti abbastanza poco. Soprattutto Giorgia Meloni, che deve avere puntato tutto sulla maxi cerimonia di gala per la firma dell’accordo con la Regione dei fondi Fsc al teatro Massimo di Palermo. Sì, quella presentata come appuntamento istituzionale e assolutamente non di campagna elettorale. Poco presente anche Matteo Salvini. Ma quello che è riuscito a fare peggio di tutti è il reggente di Forza Italia Antonio Tajani: mai visto in Sicilia nel corso di tutta la campagna elettorale. Complici anche i dissidi – sempre negati – con Renato Schifani.
Di contro, Elly Schlein ieri sera ha timbrato a Catania per la quinta volta nelle ultime settimane il cartellino in terra isolana. E altre due volte è stata in Sardegna, stessa circoscrizione per le Europee della Sicilia. La segretaria del Partito democratico è stata allo Zen di Palermo e lo scorso 23 maggio; è persino stata a Monreale per spingere il candidato sostenuto dal suo partito, per la serie «hai visto mai che tra i due litiganti magari il terzo gode davvero?». Una presenza, quella di Schlein, che ha animato l’intero blocco Dem e le piazze. Anche se, quando si parla di piazze, è veramente difficile eguagliare Giuseppe Conte. A ogni passeggiata attraverso un mercato o un quartiere popolare, l’ex presidente del Consiglio consegna al Movimento 5 stelle un punto percentuale. E Conte, che lo sa, ha pure annunciato che chiuderà la campagna elettorale a Palermo. Se i sondaggi avessero un qualche fondamento, di sicuro i pentastellati potrebbero ambire a un ottimo risultato. In questo caso, come nel caso dei Dem, tuttavia, l’ostacolo più grande, oltre all’avere a che fare con una regione storicamente a trazione di destra, è l’affluenza. Mai come quest’anno le urne per le Europee rischiano di essere poco popolate. In più ci si mette anche la protesta degli agricoltori, che in queste ore stanno raccogliendo e consegnando le schede elettorali in segno di mancata rappresentanza.
Chi non ha avuto bisogno di big è Libertà, che i big ce li ha in casa. E Cateno De Luca e i suoi, come prevedibile, non si sono risparmiati dentro e fuori i confini siciliani. Nel loro caso, tuttavia, c’è un nemico in più: il quorum. La fatidica soglia del quattro per cento che garantirebbe tre seggi al movimento del sindaco di Taormina. Soglia che dovrebbe raggiungere senza troppi affanni l’alleanza Verdi Sinistra, altro movimento con pochi big, se non il padre di Ilaria Salis, venuto a Palermo a propugnare la causa della figlia detenuta in Ungheria. Ma anche in questo caso, almeno sul fronte orientale, il big è in casa, quel Leoluca Orlando – ex sindaco di Palermo – che con una buona performance sopra quorum del partito, potrebbe addirittura tornare in pista tra i banchi del Parlamento europeo. Con buona pace di chi lo ha snobbato mentre era in cerca di una candidatura.