Nel futuro delledificio sgomberato a Librino gioca un ruolo importante lAnce di Catania che, oltre ad averlo reso inaccessibile, sta predisponendo uno studio di prefattibilità per definire le linee guida di ciò che potrebbe diventare quello che ormai da anni è il simbolo del degrado cittadino. Step1 ne parla con il presidente dellassociazione, Andrea Vecchio
Palazzo di cemento: tra il dire e il fare
L’Ance, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili di Catania, ha firmato con il Comune e la Prefettura una convenzione per la riqualificazione del palazzo di cemento. Abbiamo chiesto al suo presidente, Andrea Vecchio, che ruolo giocherà l’associazione sul futuro dell’edificio, ma anche cosa dovrà fare il comune per la riuscita del progetto. Siamo andati a trovarlo nella sede dell’associazione, allo stesso civico di viale Vittorio Veneto che ospita la Confindustria catanese.
Com’è nato il coinvolgimento dell’Ance nel progetto e che cosa prevede la convenzione?
Tutto nasce da un invito che ci ha rivolto il Prefetto e da un contatto informale con l’assessore ai lavori pubblici Sebastiano Arcidiacono che ci hanno chiesto di dare una mano al comune per risolvere il problema. Avevano l’esigenza di sgomberarlo e una scadenza dettata non so da quale motivo, e volevano al tempo stesso proteggerlo in maniera che nessuno potesse tornarci, perché si sa cosa avviene in questi casi: quando si sgombera un edificio, si mandano via le persone che ci stanno e subito dopo lo rioccupano altri. Ci hanno chiesto perciò come prima cosa una consulenza e un intervento su come renderlo inaccessibile.
Abbiamo fatto un sopralluogo e abbiamo detto quali potevano essere le soluzioni: demolire quattro rampe di scale che portavano a un piano ammezzato e tombare, cioè chiudere con calcestruzzo alleggerito le quattro canne di scala che portano ai piani superiori, in maniera che, quando il palazzo si dovrà riaprire, si potrà demolire con facilità quel calcestruzzo che adesso rende difficile alle persone l’accesso ai piani.
È emerso altro dal sopralluogo?
Dal sopralluogo sono emerse diverse considerazioni: la prima è che il palazzo è perfettamente stabile e staticamente a posto, è chiaramente malandato perché in tutti questi anni di cattivo uso non c’è stata manutenzione, però dal punto di vista strutturale è perfetto. Tra l’altro tutte le strutture sono fatte di cemento armato pieno ed è anche un bel progetto di architettura razionale dell’architetto Giacomo Leone.
Quindi non sarebbe convenuto demolirlo come qualcuno suggeriva?
Abbatterlo sarebbe costato dai sei ai dieci milioni di euro. Sarebbe stata un’azione molto invasiva. Bisognava anche mettere in conto lo sgombero delle macerie, la discarica dove portarle e tutti i rifiuti inquinanti. E poi per cosa? Per testimoniare il passaggio di una guerra?
O il fallimento del comune?
Il fallimento di tutta la città.
Lo abbiamo già chiesto all’assessore Pennisi: cosa risponde lei invece a chi ha suggerito l’ipotesi di sistemare il palazzo per farci stare gli ex abitanti da regolari?
Che le persone che lo occupavano erano abusivi e quindi non avevano alcun diritto di starci. A tal proposito voglio raccontarle una storiella. La prima mattina che sono andato al palazzo, ancora non avevano sgomberato nessuno, una persona sui sessant’anni ha attraversato la strada gridando “avi vintiruanni ca ci staiu e non mi nni vaiu” (sono ventidue anni che ci abito e non me ne vado, ndr) e io gli ho domandato: “ma lei quanto paga?” E lui: “nenti”. “Che mestiere fa?” E lui: “disoccupato”. Da ventidue anni fa il posteggiatore abusivo. Gli ho detto quindi che doveva andarsene di lì, perché se uno è disoccupato ora che c’è la crisi lo capisco, ma se lo è da ventidue anni no. È impossibile che non abbia trovato un lavoro. È disoccupato perché non ha voglia di lavorare e gli conviene fare il posteggiatore abusivo e non pagare una lira di tasse, né di affitto. Queste cose non possono più essere tollerate.
Il comune non è responsabile di questi atteggiamenti?
Il comune chi è? Siamo noi che li abbiamo votati. Abbiamo eletto consiglieri comunali. Ma chi sono questi tizi, se non persone che prendono lo stipendio senza fare nulla?
Cos’altro prevede la convenzione?
Con la convenzione ci siamo impegnati a fare due cose – il geometra Vecchio ne ha una copia davanti e comincia a leggere – “le opere di intervento urgente finalizzate a inibire l’accesso al palazzo sino all’ammontare massimo di euro 35.000”. Abbiamo fatto i lavori in due giorni e questi soldi li abbiamo spesi noi, a fondo perduto. Non abbiamo ancora il consuntivo, ma credo che questa cifra non sia stata sforata, o se lo è, sarà solo per poche centinaia di euro. Contemporaneamente, ci siamo impegnati a – torna a leggere – “fornire la consulenza tecnica necessaria a livello di prefattibilità per sostenere il percorso di riqualificazione urbana dell’immobile, utilizzando formule di partenariato pubblico-privato con il fine di realizzare un polo di aggregazione e di servizi per la comunità del quartiere. Nel progetto, l’amministrazione comunale si impegna ad avviare immediati contatti a che all’interno dello stesso siano previsti presidi delle istituzioni e di operatori economici, quali ad esempio: polizia di stato, guardia di finanza, vigili urbani, uffici tecnici del comune, istituti bancari, uffici di rappresentanza di associazioni sindacali e imprenditoriali del terzo settore”. Queste sono le condizioni.
E come verrà realizzato tutto questo?
Visto che il comune non ha soldi, i soldi dovranno essere reperiti sul mercato. Bisogna quindi fare un project financing, offrire questo progetto di massima alle imprese e alle banche che si impegnano a finanziarlo, previ dei contratti con i soggetti interessati ad occupare l’immobile. Per esempio, la polizia di Stato potrebbe dirsi interessata a duecento metri quadri e impegnarsi tramite contratto a pagare un tot al mese per usufruirne. Bisogna concludere questi contratti, perché altrimenti il progetto non è fattibile.
È inutile che tutti quanti fanno voli pindarici e pensano di avere chissà che cosa, pensando che la pubblica amministrazione sia sempre l’elargitrice di cose che nessuno paga. Questa situazione non è più possibile dalle nostre parti, nel nostro Paese, e non sarà possibile per tantissimi anni a venire. Le cose, o le paghiamo o non le avremo.
A cosa si riferisce?
A tutti gli articoli che ho letto sui giornali, compreso l’ultimo sulla Sicilia, tutte le cose che si chiedono, case delle associazioni o simili non sono possibili, perché ci vuole chi paga e soprattutto la solvibilità di chi paga, altrimenti le banche non ti danno una lira.
Solvibilità che il nostro comune non ha. L’amministrazione allora cosa si è impegnata a fare?
Il comune si è impegnato a includere il progetto di riqualificazione dell’edificio in un piano triennale delle opere pubbliche – e questo lo ha fatto – e a compiere una ricognizione dei propri uffici in affitto o che si trovano in condizioni disagiate al fine di effettuare i più opportuni trasferimenti nel palazzo riqualificato. Perché io ho fatto notare all’amministrazione che ha una serie di palazzi affittati per i quali paga degli alti canoni: circa sette milioni di euro l’anno.
Era una delle obiezioni sollevate all’epoca di Catania Risorse. Come si risolve?
Noi vogliamo che il comando dei vigili urbani venga trasferito al palazzo di cemento. Il comando così che tutti i vigili la mattina partano da lì. Vogliamo che si trasferiscano l’ufficio urbanistica, l’ufficio lavori pubblici, l’ufficio tecnico del Comune e soprattutto che si trasferiscano interi dipartimenti e non spezzoni, in maniera che i cittadini di Catania per avere un servizio non debbano andare al centro, ma a Librino. Sono certo però che i dipendenti comunali si opporranno.
Non molto tempo fa poteva essere trasferito a Librino l’istituto d’arte, ma non se ne fece nulla perché nessuno voleva spostarsi in quello che molti considerano un ghetto.
Io penso che in quella vicenda molta parte della responsabilità l’abbia avuta la direttrice della scuola, che non si è voluta spostare. Ma per il palazzo qui vicino pagano un milione di euro di affitto!
Però è inutile negare che per vent’anni il palazzo di cemento è stato ignorato nonostante tutti lo vedessero e lo considerassero il simbolo del degrado delle periferie. E il comune è stato il primo ad ignorarlo. Come possiamo credere adesso che lo stesso comune sia disposto a trasferirvi pezzi importanti del suo organico?
Questo dipende da due cose. Prima cosa: rimanere con i piedi per terra. Perché se creiamo un’aspettativa falsa, non raggiungibile, il comune non potrà realizzarla e gli abitanti rimarranno di nuovo scornati. La seconda è creare un’aspettativa concreta, individuando soggetti reddituali che possano usare il palazzo e permettere al comune di pagare il mutuo per realizzare i lavori. Per far ciò serve la volontà decisa dell’amministrazione e che tutti quelli che orbitano intorno alla questione non si mettano a piatire cose che non si possono fare.
Noi la nostra parte l’abbiamo fatta e la stiamo facendo, finora ci è costata trentacinque mila euro, adesso stiamo stilando lo studio di prefattibilità e anche questo ci costerà. E lo facciamo perché abbiamo a cuore che la città tutta rinasca, non via Etnea o Corso Sicilia.
Nella convenzione non è previsto il teatro Moncada, nel progetto sarà inserito?
Sì, nel progetto si considererà anche il teatro Moncada, ristrutturato già altre volte e sempre lasciato abbandonato e di conseguenza vandalizzato. Nell’articolo a cui mi riferivo prima si parla di farlo diventare la sede dell’opera dei pupi. Ora io mi chiedo quanto sono disposti a pagare al mese questi dell’opera dei pupi? Gratis lo prenderei pure io. O quelli del liceo musicale: chi lo finanzia il liceo giusto ora che con i tagli della Gelmini e di Tremonti stanno chiudendo un sacco di scuole? Chiedono che nel palazzo debba avere sede la casa delle associazioni del quartiere: in questo caso chi pagherebbe i canoni d’affitto, le utenze, le pulizie?
Quando sarà pronto il vostro studio e quale sarà il passo successivo?
Lo studio sarà pronto tra un paio di mesi. Dopo il progetto sarà messo a bando pubblico di tipo europeo, al quale, è bene precisare, l’Ance, essendo un sindacato, non potrà partecipare per legge. Se un’impresa dell’Ance volesse, potrebbe farlo ma a proprio titolo e seguendo le direttive del bando.
Tra il vostro progetto e il bando quanto tempo passerà?
Questo dipende dall’amministrazione comunale.
La ditta che si aggiudicherà i lavori dovrà dimostrare alle banche che il progetto sta in piedi e cioè che sono previsti ricavi che coprono i costi. Si parla di 15 milioni di euro per palazzo e teatro. Conferma?
Sì, è una stima che ho fatto io, ma è molto prudenziale. E comunque 15 milioni di euro di mutuo, per esempio, in 20 anni, sperando che i canoni non continuino a salire, diventerebbero almeno 30 milioni di euro da ripagare, che divisa per anno non risulta poi una grossa cifra. Se consideriamo che il comune ne paga già più di sei all’anno, direi che si può fare.
Il primo attore dovrebbe quindi essere il comune.
Non “dovrebbe”. Deve essere il comune.