Trentuno uomini e una donna - provenienti da diversi Paesi dell'Africa - si trovano adesso in una struttura di via Sangiuliano, in attesa di trovare una sistemazione. Per loro è stato disposto un ordine di espulsione collettivo. «Viaggiavamo per cercare la libertà», dicono. E raccontano vite «senza lavoro né soldi»
PalaSpedini, storie dei migranti cacciati «Scappiamo dai terroristi o dalla fame»
«Abbiamo viaggiato quattro notti e tre giorni per cercare un posto in cui potere essere liberi». A parlare è Isata Bangura, una ragazza di 28 anni che è scappata dal Senegal. Lei è l’unica donna del gruppo di 32 migranti che – sbarcati mercoledì sera al porto di Catania – ieri hanno ricevuto un ordine di espulsione collettivo. Nonostante la varietà delle motivazioni che ha spinto ciascuno a lasciare il Paese d’origine. «In Senegal non mi era permesso né studiare né lavorare», racconta Isata. La decisione di fuggire in Italia l’ha presa insieme al fratello, il venticinquenne Abubakar. Ma per ragioni diverse. «Io sono scappata perché dopo la morte dei miei genitori sono stata affidata a un cugino di mio padre. Lui mi teneva chiusa a casa, non avevo nessuna libertà», dice la donna. Il fratello ascolta e annuisce, poi parla di sé. «Sono uno studente universitario al secondo anno della facoltà di Informatica. Non avevo più i soldi per pagarmi gli studi e non c’erano opportunità di lavoro per me», spiega Abubakar. «Ma non credevamo che però sarebbe stato così difficile restare qua», dice a MeridioNews.
Accanto a loro siede Pregne Yen Festus. Lui ha 26 anni e si è imbarcato con destinazione Italia da solo. Viene dalla Nigeria e spera «di potere avere fortuna». «In Italia ci sono arrivato ma adesso per qualche motivo vogliono che ritorni nel mio Paese», racconta. E continua: «Là però non posso rientrare perché c’è Boko Haram che ogni giorno fa un attentato terroristico. Molti miei amici sono morti a seguito degli attacchi». La stessa minaccia terroristica ha spinto anche il connazionale Isibor Ege di 28 anni a scappare verso il territorio italiano. «Da quando c’è Boko Haram tutti hanno paura e vogliono andare via», precisa.
Segue attento il discorso Bubacarr Sanyang. Nel suo Paese d’origine, il Gambia, la motivazione che porta le persone ad andarsene è «la fame», interviene. «Nella mia città non c’è lavoro per nessuno e soprattutto non ci sono soldi», continua. Sanyang, insieme agli altri 32 migranti che dovrebbero lasciare presto Catania – e l’Italia – cerca un posto dove passare la prima notte lontano dal mare, dopo tre giorni di viaggio. «Qua potrei stare dovunque», conclude il ragazzo.
Le storie dei migranti sono diverse l’una dall’altra anche se la maggior parte di loro condivide la stessa voglia di rimanere in Italia. Ma «la richiesta di asilo può essere accolta solo se il Paese di provenienza del migrante è dichiarato in pericolo», spiega Alfonso Di Stefano della Rete Antirazzista. Che però denuncia: «Il foglio presentato ai migranti in questione è collettivo e non esamina il singolo caso». Punto che, invece, stanno già affrontando un gruppo di legali contattati da Di Stefano. Mentre il gruppo è raccolto nella struttura Cavalieri della Mercede di via Sangiuliano ad aspettare.