Omicidio Ilardo, nuove rivelazioni di Nino Giuffrè  «A Provenzano soffiata da tribunale Caltanissetta»

Bernardo Provenzano sarebbe stato informato sul ruolo di confidente svolto da Luigi Ilardo, direttamente dall’ambiente giudiziario del tribunale di Caltanissetta. Lo ha raccontato per la prima volta ai magistrati della procura di Catania il pentito Antonino Giuffrè. Un passaggio inedito che è contenuto in un verbale datato dicembre 2014 dell’inchiesta sui mandanti occulti che si celerebbero dietro la morte di Ilardo. Sull’ex boss assassinato a Catania la sera del 10 maggio 1996 è già in corso il processo sugli esecutori materiali. La vittima, conosciuta con il nome in codice Oriente, nell’ottobre del 1995 aveva portato, da infiltrato, gli uomini del Ros fin dentro al covo di Provenzano. Il capo della cupola di Cosa nostra però non venne catturato. Una scelta attendista che ha portato alla sbarra come imputati per favoreggiamento alla mafia il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu. 

Giuffrè, ex capo del mandamento mafioso di Caccamo, è stato uno dei fedelissimi proprio di Provenzano. Almeno fino al 16 giugno 2002, giorno del suo pentimento. Una scelta inaspettata, arrivata due mesi dopo l’arresto. Il collaboratore aveva già risposto alle domande dei magistrati palermitani su Ilardo in due precedenti interrogatori. Il primo risalente all’ottobre 2002 e l’altro, specifico sulla figura di Ilardo, del dicembre 2010. I ricordi sulla vicenda, nella testa del collaboratore ormai 70enne, sarebbero però diventati più lucidi a distanza di anni, «una volta messi a fuoco tutti i passaggi e con un minore stress emotivo rispetto al primo periodo in cui rendevo molti interrogatori», si giustifica davanti i magistrati Pasquale Pacifico e Rocco Liguori. «Prima della morte di Ilardo – spiega il collaboratore – Provenzano mi disse che la soffiata sul ruolo di confidente era arrivata dal tribunale Caltanissetta». Il pentito non fa nomi ma indica Piddu Madonia – imputato nel processo sull’omicidio insieme a Maurizio Zuccaro, Enzo Santapaola (classe 1956, ndr) e Benedetto Cocimano – come colui che «con certezza aveva agganci all’interno degli uffici giudiziari nisseni».

Una circostanza quest’ultima già raccontata dal colonnello Michele Riccio durante la sua testimonianza. L’uomo che si occupava di Ilardo come infiltrato dentro Cosa nostra aveva già puntato il dito sia contro gli uffici nisseni che nei confronti di Giovanni Tinebra, all’epoca procuratore capo. I racconti di Giuffrè si arricchiscono anche di un altro particolare. L’ex boss di Caccamo racconta della preoccupazione di Provenzano sul ruolo assunto da Ilardo ma anche della volontà di ucciderlo. Una scelta che sarebbe stata affidata proprio a Giuffrè. «Avrei dovuto usare – spiega – i fratelli Michele, Franco e Placido Pravatà. Il luogo doveva essere il mio mandamento perché lo conoscevo meglio». Il progetto tuttavia non andò a buon fine. Ilardo, sette giorni dopo essersi recato a Roma per formalizzare la sua collaborazione, venne ucciso davanti al portone di casa in via Quintino Sella a Catania. Una accelerazione improvvisa sulla quale inchieste e processi, passati ormai due decenni, stanno cercando di togliere le tante ombre.


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