«Bisogna dare una lezione a questo avvocato Fragalà». È questa la frase che Francesco Paolo Lo Iacono avrebbe sentito dire, mentre lavorava nel bar Bobuccio, a Gregorio Di Giovanni, il reuccio di Porta Nuova e il cui nome ha di fatto solo lambito il processo in corso in corte d’Assise per la morte del penalista, senza mai entrarci ufficialmente. Lo Iacono, arrestato a luglio per traffico di droga, avrebbe raccontato ai magistrati di Palermo che il mandante di quell’omicidio sarebbe stato proprio Di Giovanni, arrestato a dicembre in seguito al blitz Cupola 2.0. Un nome, il suo, già tirato in ballo anche da un altro collaboratore, Francesco Chiarello, sulle cui dichiarazioni è stata impostata buona parte dell’accusa contro i sei imputati a processo, ritenuti gli esecutori materiali dell’assassinio. Fragalà fu aggredito appena uscito dal suo studio, in piazza Vittorio Emanuele Orlando, con calci, pugni e bastonate, stramazzando a terra, nella sera del 23 febbraio 2010. Morì in ospedale dopo tre giorni di agonia.
Ma il nome di Gregorio Di Giovanni viene fuori anche in altre occasioni. «Capace che se fanno una retata si portano pure a lui… Perché lui che è recidivo stavolta lo fanno morire là dentro… Va bè che ogni giorno che è fuori deve baciare i coglioni con l’ergastolo di sopra…». Scherza così Rubens D’Agostino, arrestato insieme a una trentina di altre persone lo scorso marzo. Con l’arresto di Tommaso Di Gregorio, accusato di essere stato per anni a capo del mandamento di Porta Nuova, sarebbe infatti subentrato Gregorio Di Giovanni. Una scelta pericolosa, quella di porlo nuovamente al vertice, visto il sicuro monitoraggio da parte delle forze dell’ordine «per il suo coinvolgimento nell’omicidio dell’avvocato Vincenzo Fragalà».
Un coinvolgimento rispetto al quale, a sentire le intercettazioni degli uomini d’onore, si alluderebbe quasi con disinvoltura negli ambienti di Cosa nostra. Tuttavia, tra i sei imputati nel processo attualmente in corso per il delitto, davanti ai giudici della prima corte d’Assise, il nome di Gregorio Di Giovanni non c’è. Processo che si avviava, tra l’altro, verso le battute finali. All’udienza di giovedì, che si celebrerà nell’aula bunker dell’Ucciardone, era previsto infatti l’inizio della requisitoria del pm. Momento che, quasi certamente, slitterà per la possibile richiesta da parte degli avvocati degli imputati di chiamare a testimoniare proprio il nuovo collaboratore. Intanto, la notizia non stupisce affatto Marzia Fragalà, figlia del penalista ucciso, secondo cui queste dichiarazioni «confermano già quello che durante il processo è emerso».
Ma anche nel corso di altre inchieste. Il pentito Danilo Gravagna, per esempio, nel 2015 racconta ai magistrati alcuni dettagli sull’omicidio Fragalà, tirando in ballo proprio il reuccio di Porta Nuova. «Dice che suo cugino Gregorio Di Giovanni gli ha fatto sapere che quella sera doveva chiudere prima», riferisce, raccontando una confidenza fatta da un cugino dei fratelli Tommaso e Gregorio Di Giovanni rispetto all’agenzia davanti cui fu aggredito l’avvocato. «E poi, mi ha pure detto che, mi ha fatto capire, non me l’ha detto esplicitamente…che non dovevano ucciderlo questo avvocato. Non era un…diciamo, una spedizione per ucciderlo, ma solo per punirlo…Lo dovevano punire, ecco. E se forse, io deduco da quello che mi ha detto lui, che questo avvocato forse s’intrometteva in discorsi che non gli…che non gli appartenevano». Dichiarazioni finite poi anche nelle carte dell’imponente operazione antimafia Cupola 2.0, che a dicembre scorso ha colpito i principali mandamenti di Palermo e provincia.
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