Omicidio Cimò, i Pm: “Lite furibonda degenerata in tragedia”


Udienza lampo quella di ieri, del processo a carico di Salvatore Di Grazia accusato dell’omicidio e della soppressione del cadavere della moglie, Mariella Cimò,72, scomparsa il 25 agosto del 2011, dalla sua abitazione di San Gregorio (Catania).                                                    

Il processo si è focalizzato soprattutto sulle istanze mosse dal legale di Di Grazia, Salvatore Rapisarda, che ha chiesto l’annullamento di alcuni rilievi fatti dai Ris di Catania, al momento del sopralluogo nella villa, poiché risulterebbero essere “esami irripetibili” ed effettuati senza la presenza di un loro consulente di parte.

Inoltre Rapisarda ha contestato il giudizio immediato richiesto dal procuratore Giovanni Salvi e il sostituto Angelo Busacca  nella prima udienza, che a dir suo “non rispetta i diritti di difesa” per l’imputato Salvatore di Grazia, attualmente ai domiciliari.

Tramite questo rito speciale infatti, si evita il dibattimento e la decisione viene presa nella sessione preliminare.
La Corte d’Assise, presieduta da Rosario Cuteri, si è riservata di decidere sull’istanza avanzata dalla difesa e ha fissato la prossima udienza per il 3 maggio, alle ore 10,00.

Al processo erano presenti anche i nipoti di Mariella Cimò, Massimo Cicero e Antonella Cicero che si dicono emotivamente provati “per la lunga attesa del processo vero e proprio, non ancora entrato nel cuore del dibattimento”.

Ma a che punto sono le indagini?

Secondo la tesi dei pm, a scatenare la furia omicida del 76enne sarebbe stata una lite furibonda tra i due coniugi avvenuta proprio il giorno dell’allontanamento della donna. “Diatriba poi degenerata in omicidio”, questo si legge nelle carte dell’ordinanza.

Le modalità secondo cui Di Grazia avrebbe “cagionato la morte della moglie, non sono finora state accertate” ma per gli inquirenti rimane comunque lampante l’aggravante che l’uomo “abbia commesso il fatto per motivi abietti e futili, segnatamente al fine di mantenere alcune relazioni extraconiugali con altre donne e di continuare a potere gestire un esercizio di autolavaggio con annesso abitazione, destinata agli incontri extraconiugali”.

Sempre secondo la Procura l’uomo dopo aver ucciso la moglie, avrebbe distrutto o soppresso il cadavere “al fine di occultare il reato di omicidio ed assicurare a sé l’impurità”.

La difesa invece dal canto suo, dichiara “l’inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza” desunti dalle contraddizioni , reticenze, e dalle asserite bugie di Di Grazia, come movente del presunto omicidio.

Relativamente a quanto indicato nell’ordinanza circa la ricostruzione del movente del delitto, “sembra più corretto parlare – si legge – di occasione piuttosto che di casuale, da ricondurre a Di Grazia e solo a Di Grazia, come soggetto che ha agito sotto l’impulso irrefrenabile di sopprimere una consorte sempre più ingombrante”.

L’uomo avrebbe agito con la complicità della governante e amante Giuseppa Grasso, indagata per favoreggiamento ( ve l’abbiamo raccontato qui). La donna nei giorni successivi alla scomparsa di Mariella, avrebbe aiutato Di Grazia a depistare gli inquirenti e a favorire all’uomo delle nuove schede telefoniche, allo scopo di eludere le intercettazioni.

Segnatamente a quanto acquisito dalle immagini delle telecamere di sorveglianza, un dato comunque rimane certo: Mariella Cimò entrò in quella casa la sera del 24 agosto e da lì non è mai stata vista uscire.

Questo il punto di forza dell’accusa, che non ha dubbi su come si sono svolti i fatti la sera del 24 agosto.

 

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