«Offese l’onore del prefetto», Colajanni davanti al gup Per la Procura «instillò dubbi nell’opinione pubblica»

«Con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso» avrebbe offeso «l’onore e il decoro» della prefetta di Palermo Antonella De Miro. Questa l’accusa rivolta dalla Procura di Palermo contro l’ex presidente dell’associazione antiracket Libero Futuro Enrico Colajanni, che dovrà presentarsi davanti al gup Marco Gaeta il prossimo febbraio. Colajanni pagherebbe il fatto di aver pronunciato pubblicamente dure esternazioni nei confronti della prefetta, che nel luglio 2018 aveva deciso di depennare dall’elenco prefettizio la sua associazione antiracket. Una decisione basata per lo più su sospetti, secondo Colajanni, uno fra tutti quello che l’associazione abbia assistito alcuni imprenditori dal curriculum non illibato. Malgrado nessuna delle persone seguite fino ad oggi nelle denunce e nei processi abbia mai subito indagini di alcun tipo o processi, a detta dell’ex leader.

«Abbiamo alzato il dito e la voce contro certe storture e questo non ci viene perdonato. Veniamo considerati anticostituzionali, ma pensiamo che non si possa fare la lotta alla mafia senza alzare la voce. Questa è la mia interpretazione di questa triste storia», dichiarava quasi un anno fa Colajanni, che mesi dopo la decisione della prefettura aveva intrapreso un lungo periodo di sciopero della fame. Storture, quelle a cui alludeva all’epoca Colajanni, legate a quelli che definisce i «problemi dell’antimafia», dal sistema Montante a quello, addirittura precedente, del sistema Saguto, in cui si incastra anche la parabola mediatica e giudiziaria del giornalista di Telejato Pino Maniaci. «Cose terribili, ma qualcuno sembra preferire che non se ne parli affatto o, se proprio si deve, il meno possibile. Chi questi fatti li ha denunciati, criticati e contestati aspramente oggi ne vede le conseguenze». Successivamente, Colajanni è stato anche ascoltato dalla Commissione antimafia

Intanto, le sue esternazioni vengono lette oggi dalla Procura come il tentativo da parte sua quasi di installare «nell’opinione pubblica l’idea che il provvedimento di cancellazione dell’associazione, lungi dall’essere sorretto da mere ragioni tecnico-giuridiche, fosse in realtà motivato dall’intenzione di osteggiare sia coloro che nel tempo avevano criticato l’operato delle istituzioni, sia le associazioni antimafia, induceva a ritenere che nell’emettere tale provvedimento il prefetto avesse voluto perseguire finalità estranee ai propri compiti istituzionali». Con le aggravanti di «avere arrecato offesa, attribuendo un fatto determinato, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità e di avere arrecato offesa a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o a una sua rappresentanza». 


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