Odissea all’ufficio postale

E’ Sabato, sono le 8 del mattino e, come spesso avviene nelle mattinate di dicembre, c’è un freddo spaventoso. Soffia un vento gelido e noi, insieme a circa una trentina di persone, ci troviamo in viale Serafino Amabile Guastella nel quartiere Monte Po, davanti all’ingresso dell’ufficio postale, ovviamente ancora chiuso.
 
Che ci fa una redattrice di Step1 a prendere freddo alle 8 di mattina a Monte Po? Semplice, la redattrice in questione ha una nonna, che abita in quel quartiere e che le ha chiesto di accompagnarla a fare richiesta per la social card.

Immaginando di trovare fila e di perdere una mattinata intera, decidiamo di arrivare alla posta con largo anticipo. Ma a quanto pare, un’ora non è stata sufficiente: al nostro arrivo, appesa sulla saracinesca chiusa, troviamo un elenco di quasi trenta persone arrivate sul posto prima di noi. Il primo nome sulla lista è di un signore che ripete ad ogni nuovo arrivato “Io sono uscito di casa alle 4.30 di mattina per scrivermi sulla lista. Se non si fa così uno si perde dalla casa”.
 
A questo punto non ci resta che aggiungere il nostro nome ed attendere pazientemente. Io e nonna siamo ventinovesime. Ne avremo per un bel po’.

Più passa il tempo, più la gente continua ad arrivare e la lista ad allungarsi. Guardandosi intorno ci si rende subito conto che quasi tutte le persone stipate sul marciapiede di viale Guastella sono anziani, tutti in fila per la mitica “social card”. A sentire le loro discussioni non sanno bene in cosa consista, sanno solo che “ci toccano 40 euro al mese. Almeno sono qualche cosa, sempre meglio di niente”.

Sono le 9, finalmente possiamo entrare. La posta risulta troppo piccola per più di 50 persone, e molti di noi devono rimanere fuori. L’unico sedile, ovviamente insufficiente per tutti, viene preso d’assalto e conquistato da un ristretto numero di fortunati. La maggior parte dei vecchietti rimane in piedi. Dei due sportelli disponibili uno viene adibito esclusivamente al disbrigo pratiche per la social card, per lasciare l’altro libero alle attività ordinarie dell’ufficio postale.

Una signora giunonica, unghie laccate di rosso e voce autoritaria, si improvvisa elimina code umano e, appropriandosi della lista, comincia a chiamare la prima persona segnata nell’elenco.

Passano 20 minuti e c’è ancora il primo signore allo sportello. Il modulo per la richiesta della social card è abbastanza complesso ed ha bisogno di tempo per essere compilato. Ad una persona anziana con un basso livello di istruzione questa operazione comporta non poche difficoltà.

La cosa pare abbastanza preoccupante e, la redattrice di Step1 quasi senza accorgersene inizia a lamentarsi ad alta voce. In risposta alle nostre lamentele, un’anziana signora dice in dialetto strettissimo “Questa é la terza volta che vengo alla posta per la social card. Non sono mai arrivata a ritirarla. La posta ha sempre chiuso prima che arrivasse il mio turno”. Altri presenti confermano le parole non proprio confortanti della simpatica nonnina. Ci rassegniamo quindi all’evenienza di perdere invano l’intera mattinata.

Il tempo passa, l’orologio segna già le 10:30, e siamo ancora al numero otto della lista.  Mancano due ore alla chiusura della posta e ci sono ancora una quarantina di persone che aspettano. Iniziamo a renderci conto che con questo ritmo non ci arriveremo mai. La gente inizia ad innervosirsi e a prendersela con gli impiegati della posta, accusandoli di essere troppo lenti.

Un signore anziano con un berretto di lana in testa discute in maniera concitata con un tipo in giacca di pelle con un sigaro spento in bocca: “Che cosa l’hanno fatta a fare questa tessera? E’ un problema, ci vuole troppo tempo per sbrigare questa pratica! Uno perde una giornata intera e alla fine manco c’arriva a prendersela!”, “Io che mi faccio la spesa al mercato come faccio a spendere questi quaranta euro? Perché non ce li mettevano direttamente nella pensione?”,“Ma la salumeria della piazza se la prende questa carta?”.

Il brusio cresce e la tensione tra la gente aumenta. All’interno dell’ufficio postale si crea una caciara insopportabile. La presenza di una quantità innumerevole di zanzare (a dicembre, a Monte Po, Catania, succede anche questo) che ronzano indisturbate tra la folla non migliora affatto la situazione. Si sfiora anche la lite quando una signora, con tutta l’aria dell’attaccabrighe, dice di essere stata scavalcata e inizia a gridare. Dopo qualche minuto di polemica inutile, grazie all’intervento degli impiegati dell’ufficio postale, la lite si placa e viene ristabilito l’ordine. 

E’ quasi mezzogiorno ormai, e molta gente è già andata via. Anche noi stiamo per gettare la spugna, ma forse c’è speranza di riuscire, dopo quattro ore di attesa, a ritirare questa benedetta social card: i turni di chi si è allontanato per altri impegni o semplice stanchezza, e non è più tornato, sono saltati, lasciando il posto a chi è rimasto. La fila si è snellita di parecchio, e alle 12.15 arriva finalmente il nostro momento. Compiliamo il modulo in fretta e furia, e dopo qualche minuto di attesa ci consegnano la busta con la social card. Finalmente siamo libere di tornare a casa.

Dopo di me una sola persona riesce, per un pelo, a compilare la sua richiesta. Alle 12.45, tra il malcontento generale, l’ufficio postale di Monte Po abbassa le saracinesche e il resto della gente rimasta ad aspettare viene fatta accomodare fuori: “Gli utenti interessati ad effettuare la richiesta per la social card sono pregati di ritornare lunedì mattina, grazie”.


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