Ode a un disco: ‘At action park’

AT ACTION PARK – SHELLAC
1994 – touch & go

Tracklist
My Black Ass
Pull the Cup
The Admiral
Crow
Song of the Minerals
A Minute
The Idea of North
Dog and Pony Show
Boche’s Dick
Il Porno Star

È un disco violento aggressivo cattivo. Voce, chitarra, batteria e basso non danno tregua.

Gli Shellac (shellac è il termine inglese per definire la colla prodotta con lo sterco di insetti), iniziano così, nel 1994, con tutte le carte in regola. Per distruggere la concezione di noise rock del loro (e del nostro) tempo.

Dopo le esperienze negli anni ‘80 con Big Black e Rapeman, Steve Albini prima lascia le scene come segno di protesta contro il music business, e si dedica alla produzione di gruppi quali Nirvana (In Utero) e Pixies (Surfer Rosa), e di altri ancora. Poi, chiama Bob Weston al basso e Todd Trainer alla batteria e intraprende questo nuovo percorso. E il suo tocco si sente, altro che no.

Crea gli Shellac, sputa fuori At action park nel 1994 e prosegue sulla sua strada, con Terraform (1998) e 1000 hurts (2000), per non contare gli svariati EP che escono fra un album e l’altro. A volte i toni sembrano moderati, a volte le sonorità sembrano più pulite. Ma il gioco è sempre lo stesso: strutture semplici (o apparentemente tali) che esprimono furia e travolgono molto più di certa musica che distrugge l’orecchio e copre le sonorità con rumore che, spesso, dà solo fastidio. 

Basta ascoltare la prima traccia di questo debutto, My Black Ass, per renderci conto di cosa abbiamo davanti. Suoni decisi, distorti, intricati, sporchi a volte. Cantato spezzato, gridato, sussurrato (The Admiral sembra a tratti un lamento, pianto), ma che esprime sempre la stessa cosa. Rabbia. E se non c’è la voce, ci pensa la musica a fare tutto (Pull the Cup). Non hanno pace, né possono dunque trasmettere pace.

Anche i pezzi più lenti (e qui azzardo l’accostamento “lento – Shellac”) non sono mai così tranquilli come sembrano. Perché prima o poi gridano gli strumenti, o Steve Albini (o Bob Weston), come in The Idea of North.

E poi c’è Dog and Pony Show, un pezzo quasi boogie, quasi da ballare saltellando, finché Steve e la chitarra non iniziano a dialogare, finché non esplode tutto, e allora è tempo di combattere (lo scontro, un elemento caro ad Albini, che lascia tracce un po’ dappertutto, penso ad esempio a Watch Song dell’album 1000 hurts).

Boche’s Dick inizia con tutti i buoni propositi. Ma dopo 35 secondi, e in meno di 2 minuti, travolge tutto anche lei.

La ballata, se volessimo trovarne una anche qui, sarebbe allora Song of the Minerals, perché con cambi di ritmo e chitarre che graffiano resta pur sempre la più tranquilla.

Ma si torna presto sul pianeta Shellac con i ritmi incalzanti e perpetui di Crow e di A Minute, con i loro cambi improvvisi e spietati. Ancora una volta, con la loro rabbia.

L’album si chiude con Il porno star, un susseguirsi di implosioni ed esplosioni. Come il resto, del resto.

E allora chi non è amante del genere (qualunque esso sia, difficile a dirsi) può decidere di premere stop, lanciare questo disco dalla finestra. E perdersi uno dei capolavori degli anni ’90. Ma tutti gli altri, troveranno At Action Park, nonchè l’intera produzione degli Shellac, come qualcosa di imperdibile, impareggiabile, immancabile. Non si può stare fermi ascoltando questa musica, almeno una gamba inizierà a tenere il tempo. E dentro qualcosa inizierà a smuoversi.


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