«Non ce la faccio più. Sono a sciopero della fame». Sembrano lontani i tempi in cui il neomelodico catanese poi passato al trap Niko Pandetta cantava «maresciallo non mi prendi» nella sua hit Pistole nella Fendi che gli è valsa due dischi d’oro. Da tre mesi, il cantante nipote del sanguinario capomafia al 41bis Turi Cappello, si trova detenuto nel carcere di Opera, a Milano. La sentenza di condanna a quattro anni per spaccio di droga, nell’ambito dell’operazione Double track da cui era venuto fuori il suo profilo di pusher di cocaina dai domiciliari in via Plebiscito, è diventata definitiva dopo che la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Dicitura che poi è diventata il titolo dell’album che è uscito quando lui era dietro le sbarre da appena qualche giorno. Ed è da lì che Pandetta – all’anagrafe Vincenzo – ha scritto di suo pugno una lettera in stampatello. Un foglio che 16 ore fa è stato pubblicato come storia sul suo profilo Instagram che conta oltre 770mila follower. Una missiva che ha i toni di un appello.
«Con la direttrice (della casa circondariale, ndr) ci ho parlato una sola volta – scrive Pandetta dopo avere ricostruito la prima settimana passata in carcere tra isolamento e sezione tossicodipendenti – La sua priorità è stata chiamarmi a colloquio non a capire le mie problematiche da detenuto. Ci ha tenuto però – sostiene – a umiliarmi come persona e come artista. Dall’alto della sua ostentata superiorità, ha giudicato me e la mia musica e mi ha fatto capire che non siamo tutti uguali». Insomma, stando alle accuse del cantante diventato celebre per avere dedicato la sua prima canzone allo zio boss ergastolano, la direttrice avrebbe gusti musicali che non incontrano il suo stile. Pandetta lamenta di non avere la possibilità di fare colloqui o telefonate. Ma è lui stesso, qualche riga dopo, a raccontare il motivo per cui sarebbero state sospese le videochiamate. «Per uno screenshot fatto in videochiamata su WhatsApp da un’altra persona, pubblicato su TikTok e diventato virale, mi hanno sospeso le videochiamate e fatto rapporto e denuncia».
Dopo avere annunciato l’inizio dello sciopero della fame, Pandetta fa appello «ai fan, ai colleghi artisti e a tutti quelli che mi vogliono bene» per fare in modo che «vengano rispettati i miei diritti di detenuto». Per concludere la lettera anche una chiusa a effetto: «Fatemi pagare per i miei sbagli (reati) – con la parentesi che non lascia dubbi ai lettori – e non per la mia musica». Del resto, de gustibus. Intanto, qualche mese fa, Pandetta è finito tra gli indagati della rissa con sparatoria – in cui due persone sono rimaste ferite – avvenuta ad aprile davanti all’Ecs Dogana, la discoteca nella zona del porto di Catania. Insieme al suo collega Andrea Zeta – al secolo Filippo Zuccaro, figlio del boss ergastolano Maurizio Zuccaro – inoltre, Pandetta è ancora a processo per le minacce a MeridioNews.
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