Nigeriani e palermitani uniti dalla lotta agli stereotipi Presidente Consulta: «È coi diritti che si batte la mafia»

Spesso quando si sente parlare di nigeriani in Italia, lo si fa identificandoli come vittime di qualche crimine (ad esempio le donne usate nella tratta di esseri umani) o come colpevoli (vedi gli arresti collegati alla gang operante a Ballarò). Ma, ovviamente, questa è solo una piccola parte di una comunità che in Sicilia è numerosa, radicata e aperta.

Di questo si è parlato a Palazzo delle Aquile durante la conferenza Nigerians against Mafia & Cultism – Nigerians stand up for human rights, organizzata dal Caretaker committee della comunità nigeriana in collaborazione con l’ambasciata di Roma e l’ong Cooperazione Internazionale Sud Sud (Ciss). Come spiega il presidente della Comunità nigeriana di Palermo, Prince Kasal Emeka Nwizu, «nella nostra provincia è stimata la presenza di circa 3-4000 nigeriani, che costituiscono una comunità che non è chiusa in sé stessa, ma aperta al dialogo e con buoni rapporti con le istituzioni».

Però, sovente, c’è una identificazione tra i nigeriani e la criminalità organizzata, pratica negativa che li accomuna ai siciliani. Un’equazione legata al fatto che «le organizzazioni africane più importanti in alcuni settori criminali come la tratta dei nuovi schiavi – osserva Sergio Cipolla, presidente Ciss – sono nigeriane. Sono gang numerose e di stampo mafioso che si occupano di portare donne e minori in Europa per il loro sfruttamento sessuale. I dati parlano ci circa 20mila arrivi in Italia nel triennio 2016-2018, che vedono la Sicilia come punto di sbarco e smistamento. Un ruolo della nostra regione cresciuto negli ultimi anni, visto che prima del 2015 queste persone venivano portate in Italia in aereo con documenti contraffatti, ma ora i trafficanti trovano più conveniente mescolare le loro vittime con gli altri migranti durante le traversate del Mediterraneo in barcone. Soggetti fragili, ingannati con false promesse di lavoro e costretti a ripagare il costo del viaggio, somme che diventano debiti impossibili da estinguere e gravate da garanzie come i giuramenti voodoo e i ricatti alle famiglie rimaste in patria».

Però, «molti nigeriani neanche conoscono la parola mafia, ma – ricorda l’ambasciatore della Nigeria in Italia, Yusuf Jonga Hinna – come in tutte le società anche tra i nigeriani residenti in Sicilia ci sono i buoni, i brutti e i cattivi, e questi ultimi non sono certo la maggioranza della comunità. La nostra nazione ha avuto un ruolo di guida nel processo di liberazione ed emancipazione degli africani e promuove la pace e la stabilità nel mondo». Il diplomatico sottolinea inoltre come ci siano 106mila nigeriani residenti in Italia, impegnati nei campi più svariati, e come le relazioni tra i due paesi siano numerose e proficue. E rivolgendosi ai connazionali espatriati evidenzia «la doppia responsabilità che hanno verso il paese d’origine e quello che li ospita, in quanto devono imparare la lingua, rispettare le leggi della loro nuova nazione e diventare membri produttivi della società, in modo da fornire elementi positivi nella valutazione del processo di integrazione degli immigrati ed essere voi stessi buoni ambasciatori della Nigeria».

Una richiesta condivisa dai nigeriani, che al termine della conferenza hanno effettuato un presidio pubblico in piazza Pretoria indossando simbolicamente una maglietta che riporta lo slogan dell’iniziativa, cioè il battersi per i diritti umani. Diritti e doveri che accomunano «non solo i nigeriani tra di loro – sostiene Ibrahima Kobena, presidente della Consulta delle Culture -, ma tutte le comunità straniere presenti a Palermo. Tutti devono essere uniti contro la criminalità organizzata, ma chiediamo anche agli ambasciatori di portare ai nostri paesi d’origine l’esigenza di trattare insieme la questione dell’immigrazione regolare, che vede esseri umani trattati come bestie. È con i diritti che si batte la mafia».

Piccola nota a margine il mancato invito a rappresentanti dell’associazione Donne di Benin City, gruppo di nigeriane che lotta contro la prostituzione. Una assenza che il Ciss in una nota attribuisce a «relazioni e ruoli all’interno della comunità nigeriana, che attengono esclusivamente alla comunità stessa, ma abbiamo come sempre chiesto che non venga negata la parola a nessuno e a nessuna, in quanto regola fondamentale di democrazia a cui aderiamo». 


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