Secondo atto del concept del cantante fiorentino. Atmosfere invernali, aria gelida e crudezza formale: con questi ingredienti si chiude il cerchio del doppio album
Neve Ridens 2: la minimale follia di Marco Parente
MARCO PARENTE
Neve Ridens
(2006, Mescal)
E neve fu. Una tempesta che inghiotte le cose, le case, le forze. Marco Parente ha le ossa rotte in questo “secondo atto” di Neve Ridens: a conti fatti uno dei concept album più interessanti degli ultimi tempi. Se in Settembre la parola ‘barrata’ era Ridens, ora leliminazione di Neve rappresenta proprio larrendersi alla forza imponente di una valanga inarrestabile. Il disco, così, vive una debolezza febbrile, una fiacchezza che manderebbe al tappeto anche la più aggressiva delle iene. La strumentazione dunque è malata, cruda, scarna. Sono molti gli episodi di strumento+voce e sono parecchie le folate gelide che attraversano la scena. Ossi di seppia si potrebbe azzardare come sottotitolo; ossi di seppia come i frammenti di difficoltà umana conficcati, con sfinitezza, in questa ipotetica spiaggia di neve.
Nel prima parte settembrina, il lamento era politico: Wake Up, col suo campanello dallarme apriva un disco di reazione. Lapertura di questo secondo disco affidata a Neve, invece, è debole, stanca e in cerca di protezione. La voce di Marco è drammatica, la chitarra acustica e le percosse del lamierista Dario Buccino, creano eco di rumori esterni. La meraviglia è la concentrazione ulula Parente riprendendo il verso di Wake Up, ma mozzandolo di allinferno. Se prima la meraviglia era riuscire a concentrarsi tra la paura generale di città invaghite, ora la concentrazione diviene un problema anche sotto alle lenzuola, anche solo dentro al proprio buco personale. Il passo numero due si chiama Michelangelo Antonioni. Il brano scritto anni or sono da Caetano Veloso è un tonfo al cuore. Si parla di silenzio, di vuoti, di pezzi dappartamento imbiancati dalla luce crudele del mattino. Il brano costruito grazie allausilio dello splendido pianoforte di Asso Stefana e del clarinetto di Enrico Gabrielli ha una forza espressiva che colpisce ai fianchi e detta i tempi per il ritorno della trilogia del sorriso animale (in Neve Ridens recitata solo nella sua III parte). Perchè non ridi, quando ti uccidi? si chiedeva Parente nellatto III; poi il cerchio si stringe fino ad auto-strozzarsi: Guardo la neve cadere e una iena sorridere. Il piano stavolta è suonato da Marco che impasta la sua voce con la musica. Il wurlitzer di Gabrielli è il carillon in avaria, sfondato dal tempo e dal ghiaccio. La risata grassa, delirante che macchia il brano, è il destino delluomo che ride cadendo o che cade ridendo. La trilogia si chiude così, con le mani legate e con il passo perplesso. Quello di Amore Cattivo è un simbolismo futurista (guardasi il booklet) e ha in seno un crescendo potente nella sua disperazione. Un salmodiare definisce il suo canto Parente stesso, una preghiera soffocante aggiungiamo noi. Ma anche un inno al non equilibrio delle cose che ha però il talento di rompere il ghiaccio grazie ad un finale rock di chitarre aggressive e batteria arrembante.
Il singolo del disco è la title-track Neve Ridens. Il brano innalza l’album rispetto allombra in cui ha vissuto fino al momento. Neve Ridens è uno spiritual cantato a tre voci: Marco Parente, Marco Iacampo (alias GoodMorningBoy) e Manuel Agnelli. Le voci dei tre si mescolano, si rafforzano, si danno forza a vicenda. Non so se è la neve che è fuori o il cotone che ho dentro, viene sputato al cielo dai tre singer. Il testo vive di sequenze cinematografiche, di passaggi scenici. La parola di Marco è musica, non cè più distinzione. La storica dicotomia si annulla, ciò che è cantato è anche suonato e viceversa. In Gente In Costruzione Marco si siede alla batteria per produrre un sogno tribale. Un sogno in cui sono le solite domande senza risposta a creare lo smarrimento. Col trittico finale, poi, cala nuovamente il gelo. La neve è corposa fuori. Il ghiaccio colpisce le ossa e i pensieri. Il fuoco è debole dentro allappartamento. Ascensore Inferno Piano Terra e 30 Secondi Di Vento sono commentate da un pianoforte minimale e crudo. Marco prosegue nella sua ricerca poetica rischiando con la collocazione delle parole sullo sfondo. Le parole sono tasselli di mosaico come le canzoni di questo doppio disco.
Qualcuno si sarà chiesto cosa sarebbe venuto fuori se il lavoro fosse uscito in una sola tornata; la sensazione che si ha è che avrebbe perso di forza annacquandosi nello scorrere di una lunga tracklist. E poi lautore non avrebbe avuto la possibilità di dare dignità alle due anime differenti di Neve e Ridens. Lukulele di Stefana in Vita Moderna chiude il disco e i dischi.