Nell'edificio della facoltà di Scienze della formazione dell'ateneo palermitano, il professore Massimiliano Oliveri ha condotto un esperimento in cui ha messo in collegamento le menti di due studenti. «Con le neuroscienze si possono migliorare le prestazioni in tanti settori della vita, ma attenzione a non andare oltre ciò che ci è concesso»
Neurogoggles, occhiali che potenziano il cervello «Applicazioni per disturbi neurologici e cognitivi»
Massimiliano Oliveri è un neurologo, insegna Neurofisiologia all’Università di Palermo, ateneo per il quale svolge attività di ricerca nell’ambito delle neuroscienze. I suoi studi hanno toccato diversi settori accademici e non, dalla motivazione al coaching. La sua utlima ricerca è volta a dimostrare«se è possibile modulare in maniera non invasiva il sistema nervoso di un individuo a scopo riabilitativo». Linguaggio tecnico che, in parole povere, vuol dire stimolare alcune aree precise del cervello per verificare se è possibile riabilitare soggetti con disturbi neurologici.
E veniamo al nocciolo della questione, la sua più recente creazione: delle lenti speciali, che ha chiamato Neurogoggles, in grado, distorcendo la vista, di attivare aree cerebrali specifiche. Una creazione che il professor Oliveri ha potuto iniziare a commercializzare grazie alla sua start-up, NeuroTeam. «La tradizione di ricerca di questo laboratorio – spiega a Meridionews – è quella di modulare il cervello utilizzando strumenti non invasivi che implicano l’applicazione di uno stimolo elettromagnetico di breve durata. Le applicazioni pratiche possono ritrovarsi nella riabilitazione di disturbi neurologici come nel trattamento dei problemi cognitivi, del linguaggio o della memoria. Grazie a questi occhiali si possono ottenere ottimi risultati senza una corrente elettromagnetica diretta».
Mentre racconta, nello studio dell’edificio 15 dell’Università di Palermo, un team capitanato dal professore stesso dà una dimostrazione di ciò che si intende per stimolo non invasivo. Una studentessa viene fatta accomodare su una sedia e collegata a un macchinario per la stimolazione magnetica transcranica con dei piccoli elettrodi sulle dita. A questo punto viene posto un emettitore di onde elettromagnetiche sulla testa della ragazza, che andrà a stimolare, con brevi scariche, la regione del cervello alla quale è demandato il movimento delle dita della mano, che effettivamente si contraggono a ogni scarica.
«Pensa al movimento delle dita che ti ho mostrato prima (un avvicinamento del pollice all’indice della mano sinistra ndr). – indica Oliveri alla studentessa mentre calibra la macchina – Ora pensalo meno intensamente, hai esagerato», corregge. Il solo pensiero del movimento permette al professore di individuare il punto esatto del cervello della ragazza che comanda questa semplice funzione motoria. Facendo eseguire lo stesso esercizio a un secondo studente, Oliveri è in grado di misurare la differenza di potenziale elettrico dei due. Con questo esperimento, secondo il professore Oliveri, che lo esegue per la seconda volta in assoluto, è possibile collegare due esseri umani attraverso il contatto fisico, così da poter stimolare solo il cervello di uno per avere risposta anche sull’altro, come appunto piccole contrazioni muscolari. «Si tratta di un’osservazione – spiega il professore – che avevamo fatto tempo fa e ora stiamo cercando di verificarla. La ragazza – illustra il professore – sente arrivare l’impulso ai muscoli della mano ancora prima di una contrazione manifesta. Lei sente che l’impulso arriva agli arti: è come quando muoviamo le mani, anche lì devi stimolare quella parte del cervello per muoverti spontaneamente. Qui, invece, quella zona della mente viene eccitata dall’esterno».
Con i Neurogoogles, invece, si potrebbero stimolare alcune aree della mente senza un’azione diretta sul cervello del paziente. Si tratta di occhiali prismatici, come quelli usati per intervenire sullo strabismo, opportunamente modificati che «indossati da un soggetto mentre fa degli esercizi apositamente predisposti, permettono di potenziare specifiche aree del cervello, come la regione che controlla le operazioni matematiche e così via». Non c’è stimolazione elettromagnetica, ma il cervello viene autoindotto a stimolarsi attraverso questa deformazione del campo visivo. Gli occhiali sono stati sperimentati anche in contesti diversi da quelli terapeutici: «Li abbiamo testati sulla nazionale italiana maschile di pallavolo durante un ritiro. Ho fatto fare ai pallavolisti – spiega Oliveri – degli esercizi di ricezione con indosso i Neurogoogles. Gli atleti, inizialmente, commettevano errori a causa della distorsione visiva, ma poi, devo dire molto velocemente, si sono adattati e quando hanno tolto le lenti hanno migliorato i tempi di reazione, migliorando il fondamentale della ricezione. Quindi sì, si possono anche incrementare anche le comuni funzioni».
Le lenti speciali ideate dal professore Oliveri sono già disponibili in commercio insieme alle istruzioni necessarie. Non è però ancora disponibile al pubblico una versione del software necessario al funzionamento. Almeno per il momento, insomma, il mercato è limitato ai soli operatori sanitari. «Gli occhiali sono già stati prodotti. Li abbiamo modificati e vorremmo migliorarne il design per renderli più accattivanti. Il software, invece, non è reperibile dal pubblico, perchè deve essere modificato per renderlo user-friendly e poter essere scaricato dagli app-store. Stiamo entrando in un’era – conclude il professore Massimiliano Oliveri – che ricorda applicazioni un po’ fantascientifiche in cui si cerca di esplorare e sfruttare al massimo le potenzialità del cervello. È sempre stato un sogno dell’umanità e oggi si possono migliorare del 30% alcune performance. Il futuro di questa tecnologia è da ricercare prevalentemente nell’ambito sanitario, ma per quanto riguarda i dispositivi indossabili, è possibile svilupparne alcuni che migliorino le prestazioni, come gli occhiali appunto. Ma non ci sono altri progetti ancora in fase sperimentale. Ad esempio, stiamo lavorando a una fascia indossabile sul capo che stimoli il cervello attraverso dei piccoli impulsi elettromagnetici esterni». Fantascienza? No, Neurocienza.