Negli anni Novanta le stragi non furono soltanto un’esclusiva mafiosa. Lo dice la storica sentenza del processo sulla ‘ndrangheta stragista, che dopo tre anni si è concluso con la condanna all’ergastolo per il boss calabrese Rocco Filippone, insieme al palermitano Giuseppe Graviano, ex capo mandamento di Brancaccio. Una sentenza quella emessa dai giudici della Corte d’assiste di Reggio Calabria, che riscrive anni di storia e che adesso dice che la ‘ndrangheta aiutò Cosa nostra nella sua lunga campagna di sangue e terrore.
Secondo l’accusa, sostenuta dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, il boss calabrese e quello palermitano, sarebbero stati i mandanti di tre attentati nei confronti di pattuglie dell’Arma dei carabinieri, nel periodo tra il 1993 e il 1994. Una propaggine della strategia della tensione voluta da Totò Riina. Strategia che si tradusse con due morti: i carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, uccisi in un’agguato sulla Salerno-Reggiocalabria, nei pressi dello svincolo per Scilla il 18 gennaio del 1994.
«L’inchiesta – dice il procuratore reggino Giovanni Bombardieri – è servita a ricostruire una delle vicende più oscure della storia giudiziaria del nostro Paese. Finalmente si capisce come la morte di quei poveri militari, cosi’ come il ferimento degli altri carabinieri nel ’93 e nel ’94, non sia stato un imprevisto o un caso ma apparteneva a un disegno più ampio e vedeva coinvolte la ‘ndrangheta reggina unitamente a Cosa nostra siciliana. La ‘ndrangheta non è mai stata considerata per quello che realmente e’. Il processo di oggi dimostra che il livello è questo».
A nulla sarebbero serviti dunque i tentativi di Giuseppe Graviano di spostare l’attenzione del discorso su altri temi, dai rapporti con Silvio Berlusconi alla propensione del boss di Brancaccio verso l’ambiente, tanto da essere chiamato dai suoi con il nomignolo di Madre Natura. Una madre gentile, che avrebbe evitato, con il suo esporsi in prima persona, che il Palermitano venisse trasformato in una nuova terra dei fuochi. La sentenza di ieri, arrivata dopo tre giorni di camera di consiglio, non è tuttavia un punto d’arrivo, ma di partenza e getterà le basi per una ulteriore azione giudiziaria. «Speriamo – commenta il pm Giuseppe Lombardo – che possa essere l’inizio di un percorso di costruzione che vada oltre quello che è stato fatto finora. Penso che sia arrivato il momento di raccontare fino in fondo qual è stato il ruolo della ‘ndrangheta. Andrà letta la sentenza. Ci saranno approfondimenti da fare».
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