Introdotta con il Jobs Act, non convince i lavoratori del settore alberghiero e del commercio che nella zona jonica soffrono per l'incapacità di rendere funzionali in inverno 3.200 camere, 80 ristoranti, 54 bar. «Prima - lamentano i sindacati -, lavorando sei mesi si otteneva una tutela per tutto l'anno. Ora non più»
Naspi, la nuova indennità di disoccupazione I rischi per i diecimila stagionali di Taormina
I sindacati dei lavoratori scrivono al ministro del Lavoro e si confermano sull’Aventino per la questione della Naspi, la nuova indennità di disoccupazione introdotta dal Jobs Act da maggio 2015, a tutela del futuro degli stagionali, che solo a Taormina e nei centri della zona jonica sono ben diecimila tra settore alberghiero e commercio. Fisascat Cisl, Cgil Filcams e Uiltucs non nascondono la propria preoccupazione per gli effetti che potrebbe avere a partire dal 2016 la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego.
«La Naspi prevista dal governo – spiega il segretario regionale della Fisascat Cisl, Pancrazio Di Leo – cambierà i criteri di accesso all’indennità di disoccupazione, rapportandosi all’importo della media lorda mensile degli ultimi quattro anni utili. La durata Naspi è stabilita, in pratica, per un periodo pari alla metà delle settimane contributive (quindi effettivamente lavorate) degli ultimi quattro anni. Dunque a chi ha lavorato, ad esempio, 116 settimane l’indennità verrà corrisposta per 58 settimane. In questo periodo di tempo non saranno però computati i giorni che hanno già dato luogo, in passato, al diritto per la stessa prestazione. Dal 2017 il periodo massimo stabilito per l’erogazione della prestazione sarà pari a 78 settimane».
I lavoratori stagionali del comparto turistico ritengono, in sostanza, di non essere tutelati dall’assistenza fornita dell’Inps, ritenuta «una forma che non dà dignità alla persona» e chiedono una più lunga attività occupazionale e lavorativa, possibilmente non più per sei, sette mesi ma per tutto l’anno, per arrivare all’ormai famosa destagionalizzazione, cavallo di battaglia della politica, e delle imprese dell’accoglienza che fino ad oggi nei fatti poi ben poco hanno fatto.
A Taormina potrebbe essere esplorata nelle prossime settimane la disponibilità dell’amministrazione ad attuare e sviluppare un ragionamento per una sorta di «patto d’area» attraverso un tavolo di confronto con tutte le parti interessate sulla questione della stagionalità e destagionalizzazione. Nel comprensorio jonico – come riconosciuto anche dai sindacati – qualcosa si è mosso in tal senso e un primo risultato è stata la sottoscrizione di accordi/contratti di lavoro che hanno prodotto rapporti fino a otto mesi lavorativi, per una buona parte del personale assunto. Ciò ha prodotto un superamento della questione Naspi ed è una prospettiva che non dispiace nemmeno all’Inps, visto che l’allungamento della stagionalità produce una riduzione dei periodi indennizzati e quindi minor costo per lo Stato.
Preoccupa, e non poco, soprattutto il fatto che a fronte di una stagione positiva soprattutto per la Sicilia, non si è riscontrato un aumento dei posti di lavoro, ma anzi in alcuni casi persino una riduzione dei periodi lavorativi. Le assunzioni sono state effettuate dopo il 15 marzo e i licenziamenti prima del 15 ottobre, e ciò sembra stridere con le possibilità di una località come Taormina dove la stagione turistica è sempre iniziata il primo marzo e terminata il 31 ottobre se non anche oltre. I lavoratori chiedono garanzie contro il precariato ma, con le rigide condizioni della nuova Naspi, il rischio è non poter avere più neppure i requisiti per accedere all’indennità di disoccupazione. «Prima – lamentano i sindacati – i lavoratori stagionali potevano, lavorando almeno sei mesi, anche in diverse parti del Paese e per diversi datori di lavoro, ottenere una tutela reddituale adeguata per ulteriori sei mesi. Ora, a seguito del riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, in caso di disoccupazione involontaria non sarà più così e francamente non ci pare un provvedimento equo».
Eloquente appare proprio la situazione di Taormina dove, nonostante la disponibilità sul territorio di un centinaio di strutture ricettive (90 per l’esattezza), non si riesce ad andare oltre l’ormai rigida consuetudine dell’operatività prettamente stagionale. La capitale del turismo siciliano non riesce a rendere funzionali anche in bassa stagione un’offerta che comprende 3.200 camere e 7.154 posti letto, 80 ristoranti, 54 bar e 28 pizzerie e tavole calde. Il clima dà una mano per pensare di fare turismo almeno 9-10 mesi all’anno ma le imprese, lamentando le troppe tasse imposte dallo Stato, preferiscono chiudere a fine ottobre e riaprire a Pasqua, con un sostanzioso numero di persone che anche quest’anno ha già il biglietto in mano per la Thailandia dal 7 gennaio.
In queste settimane si sta facendo strada anche l’ipotesi di un abbattimento o sospensione dell’Irap per le imprese turistiche nel periodo invernale e questa è forse una novità che, se mai diventerà davvero realtà, potrebbe cambiare le carte in tavola e spingere gli operatori economici a non chiudere le strutture a fine ottobre. Ma la destagionalizzazione resta per il momento ancora una chimera.