Musumeci riferisce in aula sul caso Razza e ammonisce il pm «No a lezioni di etica». «Mie dimissioni? Richiesta da deboli»

Dopo oltre due ore di dibattito in aula il presidente della Regione Nello Musumeci parla all’Assemblea regionale siciliana. Un discorso atteso da martedì scorso, quando si era detto disponibile al confronto per chiarire i contorni del terremoto giudiziario che ha travolto la Regione e l’Assessorato alla Salute. Al centro della vicenda l’inchiesta della procura di Trapani sulla gestione dei dati Covid in Sicilia. Sei persone indagate tra cui l’ormai ex assessore Ruggero Razzadimessosi dall’incarico dopo che alcune intercettazioni sono state rese pubbliche dalla stampa. Ad assumere l’incarico ad interim è stato lo stesso Musumeci. «I dati non erano nascosti o falsati – dice il presidente – Il magistrato scrive che tutto questo veniva fatto per garantirci il consenso politico». Riferimento che fa alzare il tono di voce a Musumeci, che rivendica chiusure e restrizioni costanti e in alcuni casi anticipate rispetto all’andamento del contagio. «Dopo l’irresponsabilità di alcuni nel periodo di Natale ho chiamato personalmente il ministro Speranza pregandolo di chiudere la Sicilia in zona rossa per due settimane. Cercavo così il consenso?».

Il presidente rivendica anche il «raddoppio dei posti in Terapia intensiva» e la creazione di una rete di sub-intensive «che al nostro insediamento non esisteva». «Nella mia storia, come in quella di Razza – continua Musumeci – c’è sempre stata la piena assunzione delle responsabilità. Vi assicuro che il gesto dell’assessore non è così diffuso in Italia». Un messaggio, forte e chiaro, anche per Maurizio Agnello, magistrato della procura di Trapani che si è occupato dell’inchiesta sui numeri Covid nell’Isola e che dopo l’esecuzione delle misure cautelari si è concesso ad alcune interviste. «Prendo atto che lui abbia escluso ogni mia responsabilità – dice – Ma ai magistrati chiedo più sobrietà e meno interviste. Nella fase iniziale delle indagine bisogna evitare sovraesposizione mediatiche. Un magistrato non può esprimere valutazioni di carattere morale ed etico su chi ricopre cariche pubbliche». 

Musumeci è diretto e senza giri di parole anche nei confronti del deputato Antonello Cracolici. L’esponente del Pd alcune ore prima, durante il dibattito, aveva criticato pesantemente il governo. «Crede davvero che i siciliani siano tutti smemorati? – domanda il presidente – Dice che c’è il rischio che si perda la credibilità delle istituzioni. Lo dice nei giorni in cui si parla del sistema di Calogero Montante e di Giuseppe Lumia. Con un governo che per cinque anni è stato ostaggio di un cerchio di potere facendo le cose peggiori». «Abbiamo dimenticato gli appalti truccati? Le tangenti sulle forniture? La Sanità è stata per decenni un verminaio e nessuno ha mai messo in discussione la credibilità delle istituzioni. Adesso siamo tutti preoccupati? Vi dico di stare tranquilli e sereni, come qualcuno ama dire».

«Spalmatura è stato un termine infelice – ammette Musumeci riferendosi a una delle frasi dette da Razza in un’intercettazione di novembre 2020 – forse si poteva usare distribuzione. Ma l’assessorato non ha colpe sui dati che devono arrivare dalle strutture periferiche e in quel caso avevano cinque giorni di ritardo. «Dimissioni? Noi mettiamo il cuore oltre l’ostacolo, fare un passo indietro è un gesto da fuggiaschi – spiega rispondendo alla richiesta di Pd, M5s, Cgil e sinistra – Il percorso di rivincita della Sicilia è ancora lungo e faticoso». La parte finale del discorso è tutta riservata a Razza. «La migliore lezione di stile istituzionale? Data da un ragazzo di 40 anni a cui voglio bene come un figlio – dice – cresciuto nelle caserme e formato dal padre generale dell’Arma, dato in pasto alla folla, che è cosa diversa dal popolo. Sono gli stessi che hanno detto di uccidere Cristo e liberare Barabba. Questo ragazzo vive giornate difficili, gli stessi che potrebbero capitare a ciascuno di voi per una parola mal detta o per avere compiuto un atto senza la dovuta meditazione».


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