Dolore e sgomento in casa di Giovanni Lo Porto a Palermo dove abita la famiglia del cooperante sequestrato nel 2012 e rimasto ucciso nel corso di un raid statunitense contro al Qaida nel gennaio scorso, al confine tra Pakistan e Afganistan. Nell’appartamento al piano rialzato del palazzo di via Pecori Giraldi, nel quartiere periferico di Brancaccio, mamma Giusi fa sapere che non vuole parlare con nessuno: «Lasciatemi con il mio dolore».
Attorno a lei è un un via vai di persone, amici, parenti, molti dei quali restano in attesa nell’androne. «Conosco Giusi da 38 anni – dice un’amica di famiglia, Rosa Lo Nardo – per me è come una sorella. Ha avuto la notizia dal telegiornale. È distrutta non vuole parlare con nessuno. Da tre anni e tre mesi non vedeva il figlio, ma aveva sempre la speranza nel cuore di riabbracciarlo».
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